Il segreto di Fabio Capello è sempre stato lo studio. Può ancora capitare, magari non ad alti livelli, di trovare un allenatore che non conosca diversi giocatori iscritti alla Champions; Capello, invece, ha un archivio mentale – e non solo – nel quale tiene classificati e costantemente aggiornati i file di squadre, allenatori e calciatori di tutto il mondo. Da quando poi ha rinnovato il suo impegno con la nazionale russa, entrando con tutti gli onori – e anche parecchi oneri – nello staff che dovrà preparare il Mondiale casalingo del 2018, lo studio è diventato ancor più accurato. La responsabilità è enorme, come deve aver pensato qualche giorno fa a Sochi, assistendo all’apertura olimpica dal palco della nomenklatura (di cui ora fa parte, anche se la definizione gli strappa un sorriso).
La sua prima preoccupazione al risveglio?
«Eden Hazard. Lo affrontiamo a Rio nella seconda partita del girone, Russia-Belgio. Il 22 giugno, mi ricordo pure la data. Hazard è la grande novità di questa stagione europea. Lo vedo maturato, convinto dei suoi mezzi, in possesso di una coppia di doti che molto di rado vanno assieme: è divertente ma anche concreto. Mourinho può andare orgoglioso del suo lavoro. Dico così perché il suo zampino c’è di sicuro».
Le piace come ha cresciuto il Chelsea dall’estate a oggi?
«Direi che fin qui vada considerato l’allenatore dell’anno, perché gli è riuscita in un tempo tutto sommato breve un’operazione difficilissima: ha rivitalizzato i vecchi del Chelsea, da Terry a Lampard, usando l’energia e le qualità dei nuovi talenti. Praticamente non hanno sbagliato un acquisto, e questo non è normale».
A inizio stagione aveva indicato le quattro semifinaliste di Champions in Real Madrid, Barcellona, Bayern e Manchester City…
«Barcellona e City si affrontano adesso, negli ottavi. Ma anche se non fosse così, oggi sostituirei comunque il City con il Chelsea».
Non ha citato né Milan né Atletico Madrid, ci dica quale sopravviverà agli ottavi, e quale no.
«L’Atletico parte favorito. L’ho visto dal vivo nel match di Liga contro il Barcellona – grande partita – e in tv diverse altre volte: è una squadra compatta con diverse punte di qualità, pressa molto e concede poco, si chiude per poi ripartire come una molla. Può segnare in molti modi, perché Diego Costa e Villa sono attaccanti forti e la squadra in generale sa sfruttare le situazioni da palla inattiva».
E’ sensato dire che il Milan, per passare il turno, potrebbe tentare la carta dei due pareggi? 0-0 a San Siro e 1-1 a Madrid?
«No. O almeno, io non sono mai riuscito a fare calcoli del genere. Il Milan si deve giocare al meglio entrambe le partite, consapevole che un semplice calo di attenzione potrebbe risultare letale. Però ha qualche arma da opporre. Se riesce a reggere il confronto di squadra, Kakà, Balotelli e io credo anche Pazzini possiedono la giocata in grado di far saltare il banco».
Come giudica il primo mese di Seedorf?
«Non lo giudico, ha appena iniziato e questo è un mestiere nel quale il tempo gioca un ruolo fondamentale. Seedorf si è presentato con idee ben precise e il primo mese gli sarà servito per capire che qualsiasi idea ha bisogno di uomini che sappiano metterla in pratica. Aspettiamo».
Su Simeone, invece, è già possibile sbilanciarsi.
«Sì. Ci sa fare. Ha scelto bene i giocatori accessibicontinuità di rendimento. Sono in pochi, questa è l’unica lacuna, peraltro emersa molto chiaramente nelle ultime due settimane. Ma nell’anno solare 2013 trovo che soltanto il Bayern abbia fatto meglio dell’Atletico ».
A proposito di Bayern: non trova che Guardiola, scegliendo la Bundesliga, si sia autoesiliato in un torneo distante dai riflettori?
«Penso che fosse quello che voleva, Guardiola non è il tipo che ama parlare tutti i giorni. Gli è venuto a mancare il grande rivale interno, perché in campionato il Borussia Dortmund si è staccato molto presto, e dunque il titolo nazionale sembrerà una conquista scontata. La vera discriminante della stagione di Guardiola sarà l’eventuale bis in Champions del Bayern. Due anni di fila non li ha fatti mai nessuno: dovesse riuscirci, Pep si appunterebbe sul petto una nuova medaglia».
Ma ora non è il suo primo favorito, vero?
«Io credo che il Real Madrid possa vincere tutte le competizioni alle quali è iscritto, perché ha una rosa di impressionante qualità e Ancelotti è un tecnico estremamente capace. A Madrid non ti lasciano nemmeno il tempo per respirare, altro che ambientamento: e come sapete, parlo con cognizione di causa. Malgrado la difficoltà del clima, Carlo ha cercato con calma e infine trovato la quadratura del cerchio. Il rendimento della squadra sta migliorando partita dopo partita. Trovo che le chiavi siano Modric e Di Maria, due giocatori di ispirazione offensiva cui lui ha dato anche una dimensione in fase di copertura. E quando convinci i talenti a spendersi anche dietro, puoi schierarne in gran numero: il trucco è questo».
Vede anche lei un Barcellona in fase calante?
«Non è più la squadra di una volta, ma nelle ultime gare ho rivisto rabbia e determinazione. Forse hanno superato il momento più delicato. La vox populi dice che Messi stia pensando soltanto al Mondiale, ma non credo sia vero. L’ho visto. E’ tornato brillante, concreto, mortale. L’ottavo di Champions col Manchester City sarà un duello straordinario. Peccato che all’andata manchi Aguero».
Non trova che Neymar abbia sbagliato a scegliere un club del quale, almeno finché c’è Messi, non sarà mai il leader?
«I grandi club moderni hanno molti leader, sono le piccole squadre ad averne uno solo. Neymar ha fatto una scelta professionale, e la sta sostenendo con un comportamento adeguato. Venire al Barcellona e pretendere qualcosa sarebbe stato un errore».
Dopo l’addio di Ferguson si aspettava una crisi così grave al Manchester United?
«Beh, no. Anche perché stimo Moyes, è un buon allenatore. L’errore è stato muoversi molto in ritardo sul mercato, e poi bisogna dire che gli sta girando tutto male. A parte la scoperta di Januzaj: ha tecnica e un gran tiro, è il giovane più in gamba fra quelli emersi quest’anno».
Fra l’altro deve ancora scegliere la nazionale… Non è che Prandelli se lo troverà contro nel debutto mondiale? Fra lui, Coleman e Barkley, l’Inghilterra sembra aver trovato all’ultima curva una discreta serie di talenti.
«Quella inglese è una nazionale che ha sempre ottimo potenziale, ma anche stavolta arriverà al Mondiale stremata dalle troppe partite giocate in stagione. Confermo che i giovani sono tutti bravi, ma come ho avuto modo di scoprire, quando un ragazzo s’infila la maglia dei leoni per un po’ le gambe gli tremano».
Tornando ai club, si è fatto un’idea del motivo per cui la Juventus domina in Italia, ma in Champions non fa passi avanti, anzi?
«La risposta è inevitabile: il campionato italiano non è abbastanza competitivo, dunque non è allenante. D’altra parte guardi la classifica: la scorsa estate Roma, Napoli e Fiorentina, le sue prime inseguitrici, hanno venduto all’estero Lamela, Cavani e Jovetic, i loro elementi migliori. Poi li hanno sostituiti bene, ma intanto Conte e Marotta con Tevez e Llorente hanno aggiunto, mentre gli altri hanno appunto sostituito».
Pensa che a questo punto l’Europa League sia un dovere?
«Niente è mai un dovere, la Juve non deve indennizzare nessuno se non se stessa per il flop in Champions. Però il fatto che la finale si giochi a Torino è uno stimolo forte: sarebbe molto bello arrivarci, e sotto pelle tutti alla Juve stanno avvertendo il brivido del desiderio».
Napoli-Fiorentina le piace come finale di Coppa Italia?
«Sì, perché la coincidenza dell’eliminazione contemporanea di Juve, Inter e Milan ha in un certo senso “liberato” il torneo, che mi è parso più bello e divertente del solito. Sono andate in finale due squadre che praticano un calcio attrattivo, piacevole, e se al posto del Napoli ci fosse la Roma direi le stesse cose. Trovo giusto che ad almeno una di loro resti in bacheca qualcosa di tangibile».
Che cosa deve succedere all’Inter, invece, perché questa stagione non risulti buttata?
«Non getto la croce sulle spalle di Mazzarri. I cambi di proprietà in corsa costano sempre qualcosa, figuriamoci uno complicato come questo. Hernanes è una buona base sulla quale ricostruire, però il tecnico deve ottenere da lui la corsa che non lesina in nazionale. I brasiliani sono così: per la Seleçao accettano di faticare, per il club molto meno».
Capello, tatticamente c’è qualcosa di nuovo in Serie A?
«Paradossalmente sì, anche se è un ritorno al passato. Si gioca di nuovo col libero. Leggendo un’intervista a Paolo Cannavaro mi è venuta l’illuminazione. Diceva che fatica ad adattarsi alla difesa a quattro perché lì si deve andare in marcatura, mentre nella “tre” succede meno. E in effetti il centrale delle difese a tre, maggioritarie in Serie A, di solito marca in seconda battuta. A differenza del vecchio libero questo gioca in linea con gli altri due, ma il compito è lo stesso».
GASPORT (P. CONDO’)