In Italia mancano i giovani di valore? Nel dissentire consigliamo ai soliti criticoni di guardarsi Roma-Inter e di seguire con attenzione Fabio Borini, classe 1991. Questo ragazzo, nonostante l’età, ha già una storia alle spalle. Emigrato al Chelsea, attirato dalle sirene (e forse anche dalle sterline) del club di Abramovich, una volta capito che non c’era spazio per lui ha deciso di rifare la valigia e tornare indietro: così, in estate, eccolo firmare un contratto con il Parma. Poi la società emiliana, per questioni di bilancio, lo gira alla Roma e Borini si trova al centro del progetto di Luis Enrique. Il ragazzo, che sa di avere a disposizione un’opportunità incredibile, segna 5 gol e conquista tutti. Contro l’Inter piazza una doppietta e, cosa ancor più importante, dimostra di avere i numeri per diventare un grande. Per le movenze, per la velocità e per la rapidità di esecuzione Borini ricorda un attaccante degli anni Novanta: parliamo di Enrico Chiesa. E anche, per restare al presente, in lui c’è un po’ di Pato. Stessa struttura fisica, stessa precisione, stessa potenza di tiro.
Lezione imparata Di fronte alla giornata stellare del giovane attaccante giallorosso c’è un’Inter svagata, spaesata e imbarazzante per lentezza e confusione di idee. E anche degli errori nerazzurri Borini si è avvantaggiato, questo è fuori discussione. Tuttavia impressiona la sua capacità di incidere nell’azione e di parteciparvi. Per nulla timido, Borini chiama il pallone, detta il passaggio, non si sottrae alle responsabilità. Sono 46 i palloni toccati e soltanto 6 quelli persi (anche questo è un dato interessante). A dimostrazione del fatto che il ragazzo ha già digerito la lezione tattica di Luis Enrique, e che il primo dovere di un attaccante è quello di andare subito a pressare gli avversari, ecco i 6 palloni recuperati e i 3 contrasti vinti. Borini non va in tackle con la gamba molle, insomma, e non si perde in inutili ghirigori (come faceva Enrico Chiesa, appunto): pochi dribbling (1 solo tentato e riuscito) e tanta sostanza (3 tiri effettuati e 2 gol). Prenderlo quando va in percussione è molto difficile anche perché ci sono pochi difensori che posseggono la sua rapidità.
Frecce ai lati Se De Rossi è il perno del gioco nel settore centrale del campo e Totti è l’uomo attorno a cui ruota la manovra offensiva della Roma, Lamela da una parte e Borini dall’altra sono le frecce deputate a entrare nel cuore delle difese avversarie. Borini, sostanzialmente, si preoccupa di giocare attraverso i movimento. Spieghiamo meglio: scattando nello spazio o andando incontro al pallone, detta il suggerimento al compagno che lo deve mettere nelle migliori condizioni per calciare in porta. Le 4 sponde effettuate testimoniano che il ragazzo partecipa al lavoro collettivo.
Buona volontà Il “tanto” mostrato da Borini fa impressione se paragonato al “poco” meso in campo dagli attaccanti dell’Inter. Si salva Milito. Per lui un solo tiro in porta, 39 palloni toccati, 10 persi, 2 recuperati e tante corse a vuoto. Non si può dire, tuttavia, che l’argentino non abbia provato a lavorare per la squadra: lo dicono le 3 sponde con le quali si è messo a disposizione dei compagni. Il problema è che i compagni hanno deciso di concedersi una giornata di riposo. E allora non può bastare la buona volontà, nemmeno se è quella di un Principe…
Gazzetta dello Sport – Andrea Schianchi