Rudi Garcia non è preoccupato. Dall’alto della sua esperienza (champion de France) ha spiegato agli abitanti del suo villaggio che la Roma crea molte occasioni e quindi va tutto bene. L’ultima occasione, per chi vede fuori dalla Chiesa al centro del villaggio di Rudi, è un punticino rimasto a difendere il secondo posto da chi insegue.
E, chi insegue, è un parente più o meno stretto, apparentemente molto meno preoccupato del francese: Stefano Pioli, allenatore della Lazio, appena salita al terzo posto scavalcando il Napoli. La Lazio ricorda la Roma di un anno fa. Gioca un bel calcio (il più europeo del campionato?) esaltato come un tempo quello giallorosso da un giocatore, Felipe Anderson. Al limite, se si vuole cercare una differenza sostanziale, sta nella disparità tra i due giocatori che a distanza di un anno esaltano le rispettive squadre: Gervinho e Anderson.
Il primo ha i piedi ignoranti, il secondo educati. Il primo è un velocista casinista che imbriglia se stesso prima degli avverasari. Il secondo è un talento che potrebbe percorerre sentieri importanti. Di differenza ce n’è un’altra. Gervinho sembra un pallino di Garcia (era con lui nel Lille, poi s’è perso nel nulla come il tecnico). Anderson è un giovane che, al limite, può essere paragonato a Lamela, ma la speranza dei tifosi laziali è che non faccia la fine dell’argentino (venduto per fare cassa). In casa Roma, dopo aver parlato allo scudetto, si discute di Doumbia e Ibarbo-Spolli, delle cessioni per far cassa. La Lazio aspetta il cadavere eccellente che il Tevere potrebbe trasportare dal leggendario villaggio, a Roma. Che è una metropoli, Garcia.
Leggo – F. Maccheroni