Il Messaggero – Roma, il progetto tocca il fondo

Spenta e confusa, la Roma perde anche in casa e scende quindi dall’altalena. E non perché il suo pubblico, innamorato e fedele, si stufa di spingerla. La Sud contesta a giochi fatti. Quando il mancino Lazzari segna di destro e Osvaldo insulta l’arbitro Brighi non si sa perché. E’ la fine del recupero del secondo tempo. Luis Enrique, frastornato e letale in panchina, si fa sorpassare anche dall’Inter di Andrea Stramaccioni, il più giovane allenatore della serie A, romano di San Giovanni. Sesto è ora l’ex tecnico degli Allievi giallorossi, davanti all’asturiano. La Fiorentina riscopre il gusto di vincere all’Olimpico, 2 a 1 meritato, contro questi avversari: non accadeva dal 23 febbraio del ’92, quando ci pensarono Batistuta, due gol, e Dunga, uno, lasciandone anche uno a Voeller, il tedesco amato come l’argentino che qui poi ne prese il posto e che, pur restando meno anni del predecessore, si tolse la soddisfazione più grande della carriera, conquistando da protagonista lo scudetto.
Nel pomeriggio dello scivolamento al settimo posto che a quattro turni dalla fine mette la Roma fuori dalla porta dell’Europa, ecco i ricordi belli della squadra competitiva che fu. E che messa accanto a quella bambina, per definirla come fece nemmeno troppo tempo fa Franco Baldini e come non sembra affatto (non gioca, non diverte e non si diverte: dunque, solo triste), fa pensare a quanto è completo il fallimento della nuova éra tecnica. Perché dodici anni fa la società giallorossa aveva un allenatore vincente, Fabio Capello, e un gruppo di campioni, da Samuel a Batistuta. Ora mancano l’uno e gli altri. Bisogna dirlo, prima che sia troppo tardi. Questo non è il progetto promesso. Anche se c’è ancora chi si affanna a promuoverlo. Gli spot non incantano più nessuno. E’ il giorno, invece, del record negativo eguagliato, nei tornei da tre punti: quattordici sconfitte (sedici, comprese le coppe), come nella stagione 2004/2005 che è quella anche dei quattro allenatori. Tre si dimisero. Non ci pensa, però, Luis Enrique, invitato dalla piazza ad andarsene: da solo, con quattro gare a disposizione, potrebbe far meglio di quei quattro insieme. E’ la sua ultima provocazione. La società insiste a difenderlo, vorrebbe confermarlo per un altro anno, ma a fine stagione in un modo o nell’altro l’allenatore dovrà salutare.

La caduta di ieri è diversa dalle altre. La Roma, mai così brutta all’Olimpico, sembra davvero a fine percorso. Non dà più segni di vita calcistica. Tatticamente è nulla, psicologicamente in coma. Anche se De Rossi torna a centrocampo, confermando però di essere in crisi psicofisica, e Totti, nonostante il leggero stato influenzale, segna il suo gol numero 213 in A (6° di questo torneo) anche perché è l’unico giallorosso a calciare verso Boruc. Rete segnata di sinistro e di sponda, su tiro di Gago che andava sul fondo. Il gol è casuale come l’idea di calcio di Luis Enrique che non è più quella di qualche mese. L’asturiano, da inquadratura in panchina, fa le corna quando attacca l’avversario. Maghetto de’ noantri che non ti aspetti e che con quel gesto tradisce anche la fiducia della proprietà. Indice e mignolo: altro che schemi, questa è la sua fase difensiva.

Delio Rossi lo supera senza fare niente di che. O meglio: con il 3-5-2 che, come dimostrato da Conte a Cosmi, è la trappola in cui Lucho cade sempre e comunque. Jovetic segna subito di testa e Curci evita il crollo, anche contro l’ex Cerci. Nell’intervallo fuori Josè Angel e Greco: Luis Enrique almeno corregge la formazione di partenza. Dentro Marquinho e Gago. Amauri per Cerci al decimo. Ma la Fiorentina cala. La Roma lievita. Non conclude, però. A parte Totti. Pari del capitano, al minuto 26. Luis Enrique esagera. Fa esordire il ventenne Tallo, centravanti ivoriano della Primavera e trentesimo giocatore utilizzato, togliendo Heinze. Vuole vincere. Ovviamente perde. Llorente, il mental coach. litiga con Amauri che lascia il campo infortunato. Figuraccia. Spazio a Olivera che avrebbe dovuto sostituire Lazzari. Che diventa l’uomo del match, al quarantasettesimo, dopo lo slalom e il tiro di Ljajic, entrato per Jovetic. Curci respinge e Lazzari fa un gran gol. Osvaldo insulta l’arbitro Brighi e diventa il decimo espulso in campionato (record con il Cesena), l’undicesimo della stagione. Il vaffa è simile a quello della Sud a Luis Enrique. Mancano ancora quattro giornate. Si allunga l’agonia.

Il Messaggero – Umberto Trani

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