Corriere della Sera (M.Nerozzi) – Chiacchierando a notte fonda con sei tifosi della Roma, davanti a un ristorante di Milano, Luciano Spalletti riavvolge il passato romanista e racconta il presente nerazzurro: dalle panchine di Totti («non correva più») al delicato momento dell’Inter («un ambiente a un passo dalla follia»). È il 21 gennaio, e l’Inter ha appena pareggiato con la Roma a San Siro (1-1): primo tempo di tormento, ripresa di mezzo portento. Con l’espressione abbacchiata, l’allenatore entra, da solo, da «Grani & Braci», locale aperto fino a tardi. A un tavolo sono seduti sei tifosi giallorossi in trasferta, e legati da un’inequivocabile chat di WhatsApp: “Buciano non ti temiamo”. Sarebbe il momento di dire al loro ex tecnico, che lo scorso anno tanto hanno fischiato, quel che pensano. Ma nessuno se la sente, pure perché Spalletti, a tavola senza compagnia, pare davvero giù. Niente, nessuno trova il coraggio. La cena finiscee i sei vanno alla cassa, con le sciarpe della Roma penzolanti. Quelle che fanno alzare l’allenatore dell’Inter: «Ragazzi — attacca — ben trovati. Fate buon viaggio di ritorno a Roma». Il tempo di una sigaretta, poco fuori il ristorante e Spalletti li raggiunge. Parlerà per quasi un’ora, in una chiacchierata che diventerà confessione: manca solo Gigi Marzullo. La prima domanda non è quotata: l’ultima tormentata stagione del Pupone. «Totti non correva più, e gli altri giocatori si deprimevano se lo facevo giocare». E poi, il mercato in uscita della Roma. Tutto previsto, confida Spalletti: «Pallotta mi aveva fatto chiaramente capire che avrebbe venduto i pezzi migliori». Non va troppo meglio all’Inter, si deduce dalle espressioni, e dalle parole: «Com’è la situazione qui? In società non vogliono spendere e l’ambiente è a un passo dalla follia, tipo Roma: sempre sul filo dell’equilibrio». Pausa: «A volte, è un ambiente depresso». Davanti, però, ci sono pur sempre tifosi della Roma, che qualcosa avrebbero voluto vincere. E allora, altre domande. E il tecnico si sfoga, dopo stagioni davanti al plotone d’esecuzione delle radioline romane: «Mi avete rotto le scatole, e io ho portato la Roma al 2° posto, prima del Napoli. E mo’ col cavolo che lo prendete, il Napoli».
Ragazzi giallorossi quasi ammutoliti, poi però si ricordano «della Coppa vinta dalla Lazio», e dei sogni di vittoria. «Sì mister, ma noi ogni tanto vorremmo vincere, una cosetta, una coppetta. In Coppa Italia e in Europa League un’occasione l’avremmo avuta». Il tecnico non si sottrae, mica siamo in conferenza stampa, davanti a microfoni e tv: «Certo che c’era l’occasione, andate a dirlo ai giocatori». Il problema resta vincere qualcosa, a Roma come a Milano, solo che Spalletti un’idea chiara ce l’ha: «Volete vincere? Non avete capito nulla, e non l’hanno capito neanche qui a Milano: con questa Juve, che c’ha due squadre, e non si vince una fava!». Si parla della partita appena finita: ma come ci ha visto stasera?, chiedono. Di Francesco ha sbagliato i cambi? «Vogliamo parlare di errori? E i nostri?». Si avvicinano anche tre tifosi dell’Inter, e uno comincia ad armeggiare con il cellulare. Spalletti scatta subito: «Che stai facendo? Niente registrazioni, niente filmati, sto parlando con degli amici». Ma ormai siamo alla fine. Giusto un saluto, andando via in macchina: «Mi raccomando ragazzi, stasera non fate danni». Da quel momento, la chat dei sei tifosi ha un nuovo nome: «Gli amici di Luciano».