Roma, da Padelli nella brace. Soffre, passa e aiuta il Toro

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La Gazzetta dello Sport (P.Archetti) – La Roma non fa nemmeno finta di essere una squadra felice, troppi problemi le riempiono la testa e spremono la lucidità. Dovrebbe essere tolta dalla classifica, spostandola fuori con un dito, come se fosse un elemento su uno schermo elettronico. Avrebbe bisogno di specchiarsi senza tensioni, di analizzarsi con semplicità per accantonare gli sbagli. Invece non può, ogni tappa è disordinata e fondamentale; ieri il Toro, mercoledì il Bate Borisov per la vitale sopravvivenza in Champions; domenica il Napoli e un altro giudizio supremo, cioè se questo impianto è degno di rincorrere lo scudetto come sembrava in estate. Nemmeno quando il dettaglio si ingrandisce fino a diventare fortunato omaggio, i giallorossi riescono a placare i mugugni interni. Stavolta è un rigore che non c’è ad alimentare il dissenso. Giusto sostenere che senza il fischio contestato di Damato sarebbe arrivato il successo, dopo tre dolorose gare senza, Europa compresa. L’onestà però fa sottolineare che anche il vantaggio all’83’ è un grazioso regalo di Padelli e pure Garcia ammette che «il penalty è inesistente ma quella palla non doveva arrivare in area». Una testimonianza di colpa, una ripetizione di sbagli con gli stessi protagonisti (nello specifico Rüdiger): una vittoria nelle ultime cinque uscite di campionato, non è ritmo da aspiranti campioni.

I MOTIVI – E non lo è nemmeno il comportamento, perché la rete di Pjanic, che eguaglia Falcao a 27 centri romanisti, non la si può considerare vero tiro in porta ma una punizione cross bucata dal portiere, tanto che viene lanciato un dato: nel primo tempo la Roma non tenta nemmeno una conclusione nello specchio, per la prima volta in tutte le competizioni stagionali. Ma è un numero semi fasullo, perché Pjanic per due volte butta in area due punizioni simili a quella dell’1-0, quindi tiri involontari da rete. Minuzie che non alterano il ragionamento: la Roma non fa nulla per vincere. Il pareggio è giusto e il Torino, al decimo punto recuperato da uno svantaggio, non si vergogna del finale felice, dato che Maxi Lopez infila il penalty al 94’. Anche Ventura benedice la scelta arbitrale perché «Sarebbe soltanto lo 0,5 per cento di quanto ci è stato tolto finora». Compensazione, dunque. Oppure sistema di movimentare uno 0-0 inappuntabile fino alle turbolenze descritte e create quasi per ricompensare gli spettatori del pomeriggio barboso.

LE MOSSE – Se la Roma ha un merito, è quello di aver costretto più volte all’errore in partenza il Toro, pressandolo alto. Però da quelle riconquiste è scaturito il nulla. Perché la banda di Ventura è come sempre leggibile nel possesso: i tre centrali si passano la palla senza fretta, Vives li guarda in faccia per offrire aiuto e i laterali sono ancorati ai fianchi del regista: e fanno sei. Gli altri quattro sono due coppie in una decina di metri, AcquahBaselli più distanti tra di loro di BelottiQuagliarella, punte appiccicate nel cuore della difesa. Ma la calma del palleggio orizzontale viene scippata dal tridente romanista e quando il Toro lo capisce ricorre ai lanci e stacca pochi frammenti micidiali: una ventata monocolore, tutta granata, che scombina le pieghe del centro sinistra con Baselli che si infila ma a centro area servirebbero sicari più determinati di Belotti e Quagliarella. Allora il Torino gioca più all’indietro che in avanti, secondo abitudine, e sembra amministrare, con soltanto 40 per cento di possesso. Per la rimonta invece usa il 3-4-3 con Martinez e Lopez accanto a Belotti.

ROMA: CIAO GERVINHO – A Garcia, che preferisce Szczesny a De Sanctis, manca l’imprevedibilità di Gervinho: ricaduta muscolare proprio nel giorno del rientro. Quindi il francese deve riconoscere di nuovo che Iturbe e Iago Falque non sono al livello di Salah (altro infortunato) e dell’ivoriano. Inoltre Dzeko non riesce a catturare nemmeno l’ombra di se stesso; il menù delle offerte è limitato, però il centravanti di personalità si nutre anche di una sola portata. Invece il bosniaco fallisce quando dovrebbe sentenziare. La difesa arriva a 34 reti in 20 uscite (e al quarto rigore di fila causato nella ripresa), nel giorno in cui sembra rischiare poco. Ma basta un lancio per mandare nel panico Rüdiger, titolare per Castan, o basta un’avanzata poco ragionata di Florenzi, di nuovo terzino destro, per spalancare un intero fianco. E manca la ferocia di chi si gioca tutto, per non resistere nelle approssimazioni finali del Torino, palla lunga e vediamo cosa succede. Succede che la Roma si fa riprendere e quel briciolo di serenità intravisto sfugge via come la luce del pomeriggio.

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