La Repubblica (M. Pinci) – Mourinho ha un problema: la Roma non sa più vincere. E, anzi, per evitare la sconfitta al Mapei col Sassuolo ha dovuto aggrapparsi, all’ultimo minuto, a un colpo di testa di Cristante, l’uomo che per mesi ha colmato la lacuna del regista mancante – la vera ossessione dello Special – su assist di Veretout, il centrocampista mortificato dall’arrivo di Sergio Oliveira, prototipo dei desideri di mercato dell’allenatore di Setubal.
Un calcio d’angolo, un colpo di testa, la goal line che fa scattare l’orologio al polso dell’arbitro Guida per dirgli che la palla era entrata. La tecnologia che il sabato precedente aveva tolto una vittoria alla Roma, ora le ha restituito un pareggio che permette soltanto a José di prendersi la soddisfazione di avere “quattro partite di campionato senza sconfitte“.
Ma in questo febbraio aperto dal pari col Genoa e proseguito con la sconfitta di San Siro in Coppa Italia è soddisfazione misera: il settimo posto dice senza dubbi che dopo 9 mesi di guida Special, la squadra è allo stesso punto in cui era quando lui l’ha presa. Crescita zero. Aveva ragione Mourinho. La Roma è piccola: ma non, come intendeva lui, per il proprio peso politico nei confronti degli arbitri.
È piccola perché ostaggio di se stessa e dei propri limiti. Senza un’organizzazione offensiva, preda dei propri errori difensivi, in balia del Sassuolo, che l’ha rimontata e superata senza mai rinunciare a essere ciò che è. Anche qui aveva ragione lo Special one: la squadra di Dionisi ha dimostrato di avere più qualità nella costruzione del gioco. Ma ha anche più idee su cosa fare con il pallone.
Solo che se come ieri manca Zaniolo non c’è nessuno in grado di infilare una spruzzata di imprevedibilità nella ricetta. L’ha salvata lo spirito, che a volte diventa isteria nelle proteste, e a volte diventa rabbia agonistica: “Se c’è una qualità in cui siamo imbattibili, è l’amicizia che abbiamo. Possono dire che siamo scarsi, ma non che non siamo molto uniti“.