Pagine Romaniste (F. Belli) – Ci sono storie che vale la pena raccontare per quello che sono state. E poi ci sono storie che vale la pena raccontare più per quello che sarebbero potute essere, come quella di Francesco Rocca. Un terzino sinistro brillante costretto ad appendere gli scarpini al chiodo troppo presto, a 26 anni, a causa di un maledetto infame infortunio al ginocchio. Riavvolgiamo il nastro però: il ragazzo di San Vito Romano viene notato dalla Roma ed entra nelle giovanili nel 1971. Mancano cinque anni dall’inizio dell’incubo. La sua principale dote è la forza nella progressione palla al piede, nessuno riesce a fermarlo. Giorgio Rossi, storico massaggiatore del club passato a miglior vita poco tempo fa, ricorda come nelle amichevoli l’avversario diretto di Rocca doveva essere regolarmente sostituito perché non in grado di proseguire. L’esordio in campionato è datato 25 marzo 1973 a San Siro contro il Milan. Si tratta di un giocatore fisicamente superiore, come notato dall’allora capitano Cordova: “Francesco, se corri così forte quando arrivi in fondo non trovi nessuno”. L’anno successivo esordisce anche nella Nazionale maggiore col ct Fulvio Bernardini contro “l’arancia meccanica” di Cruijff e compagni. “Fuffo” gli dice: “Qualsiasi cosa accada, ricordati che sei il più forte“. E’ vero. Nessuno riesce a fermare “Kawasaki“, soprannominato così dai tifosi giallorossi come le potenti moto giapponesi in voga quegli anni.
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L’infortunio e il calvario
E poi arriva quel maledetto 10 ottobre 1976. Cesena-Roma, dopo tre minuti di gioco un avversario lo colpisce in scivolata. E’ un contrasto duro, ma sembra non sia successo nulla di che. Sembra. Il giorno dopo il ginocchio si gonfia e Francesco inizia a preoccuparsi. Il 16 ottobre è in programma una gara di qualificazione al mondiale contro il Lussemburgo e Kawasaki vuole giocare. Può scendere in campo, lo dicono i medici. E gioca. Ma gioca male attirandosi le critiche di stampa e tifosi. Ancora non si è consumato il fattaccio. Dopo due giorni torna ad allenarsi e i legamenti saltano. “Si era rotto tutto, legamento crociato anteriore, collaterale, menisco, capsula articolare e cartilagine. Avrei dovuto finirla lì”, ricorderà più tardi. Torna dopo mesi contro il Perugia ma a luglio il ginocchio si rigonfia. Si opera altre tre volte tra agosto del 77′ e il giugno del 78′, ma il calvario non finisce. Enzo Bearzot dirà: “Chi più di Francesco Rocca sarebbe stato l’uomo ideale per la mia Nazionale? Un fisico da leone, un fiato da vendere. Lo perdiamo per via di un ginocchio a pezzi dopo che avevo deciso che era lui uno dei miei punti fermi“. Si ritira nel 1981, un anno prima del successo azzurro al Mondiale di Spagna e due prima del tricolore giallorosso. Una storia interrotta all’origine e un calvario che lo tormenta ancora oggi. Infatti come ha dichiarato recentemente è da 40 anni, da quel 10 ottobre del 1976, che ogni sera si mette il ghiaccio sul ginocchio per attenuare l’insopportabile dolore. Un triste monotono gesto ormai quotidiano che rievoca le brutte sensazioni di quegli anni. E’ questa la storia di Francesco Rocca, un uomo reso dal dolore più grande di quanto avrebbe voluto.