Il Messaggero (R. Buffoni) – Palla verticale a Cerezo, che chiude il triangolo al limite dell’area in posizione centrale. Rasoterra dai 16 metri all’angolino, dove Castellini non può arrivare, e Roma in vantaggio. È il 16 dicembre del 1984 e il protagonista di quell’azione sul prato del San Paolo di Napoli (Maradona era vivo, vegeto e in campo con la 10 azzurra) è Paulo Roberto Falcao. Il brasiliano non lo sa – nessuno lo sa – ma quelli sarebbero stati il suo ultimo gol e la sua ultima partita con la maglia giallorossa (la numero 107 in serie A).
Il ginocchio sinistro, ammaccato dai colpi ricevuti (particolarmente duro quello incassato due mesi prima dai tacchetti del veronese Fanna), a fine partita si gonfia e smorza i sorrisi del brasiliano per la rete (alla fine decisiva nel 2-1 finale), facendogli temere il peggio. Che puntualmente arriva. Perché il brasiliano a 31 anni sarà costretto ad operarsi all’arto e non rientrerà più, se non in alcune amichevoli di fine stagione (la conclusiva all’Olimpico il 14 giugno del 1985 contro l’Ajax). Quarant’anni fa, dunque, arrivava al capolinea la parabola del Divino con la maglia della Roma.
Un lustro scintillante, il più splendente dei quasi 100 anni di storia del club che, guidato dal presidente Dino Viola e dall’allenatore Nils Liedholm, conquistò lo scudetto dell’83 e, l’anno successivo, arrivò in finale di Coppa dei Campioni, perdendo il titolo di campione d’Europa all’Olimpico contro il Liverpool ai calci di rigore. Nella notte più bella – e allo stesso tempo più amara – l’adorazione dei tifosi giallorossi verso l’ottavo Re di Roma si incrinò, causa il “gran rifiuto” (mai chiarito fino in fondo) a presentarsi sul dischetto davanti a Grobbelaar.