«Una notte mi trovavo a piazza di Spagna con due miei amici, Bruno e Antonello che, ironicamente, erano romanisti. Era circa mezzanotte, ci trovavamo nella macchina di Bruno, cercando di trovare la strada attraverso le piccole viuzze intorno alla piazza, quando i passeggeri della macchina di fronte a noi mi riconobbero. Rallentarono l’automobile fino a passo d’uomo, e fuoriuscirono in parte dai finestrini per insultarmi. “Bastardo!” Si misero a gridare. “Tu fottuto laziale! Perché non scendi dall’auto e ci insegni la lezione!». Così confessava Paolo Di Canio nella sua autobiografia, in quella che è e sarà l’eterna lotta tra laziali e romanisti che ogni tanto sconfina i binari dello sport e trascende in quelli della violenza. L’ex attaccante biancoceleste, attualmente commentatore televisivo, proseguiva poi raccontando la scazzottata avvenuta alle luci dell’alba. Mapou Yanga-Mbiwa non è dunque il primo a subire le angherie di una città che sa regalare tanto in termini di passione ma che, in alcuni casi, vede dei tifosi trasformarsi in teppisti. È successo a Pablo Daniel Osvaldo, aggredito mentre usciva da Trigoria con calci e pugni all’automobile, ai tempi di Andreazzoli, quando aveva voluto fortemente calciare un rigore, «tolto» a Totti, per poi sbagliare contro la Samp.
Ma l’episodio che forse è rimasto maggiormente impresso nelle menti dei tifosi romanisti fu quello legato all’anno dello scudetto vinto dalla Roma di Fabio Capello. Oltre mille tifosi si erano presentati fuori dai cancelli del centro sportivo «Fulvio Bernardini» in seguito alla sorprendente sconfitta della Roma contro l’Atalanta, che valse l’eliminazione dalla Coppa Italia, per protestare contro società, giocatori e allenatore. La protesta si trasformò in una vera e propria aggressione ai danni di alcuni giocatori che poi, soltanto qualche mese più tardi, sarebbero diventati idoli della piazza, conquistando il terzo scudetto della storia romanista. La macchina di Montella venne letteralmente distrutta, calci, pugni e specchietti divelti per l’auto di Cafu che a bordo aveva anche i figli piccoli, rimasti sotto shock per l’accaduto. Ne pagarono le conseguenze anche Marcos Assunçao, Gurenko e Poggi. Nel settembre del 2002, dopo la sconfitta col Modena e relativa aggressione a Trigoria, fu Zebina a beccarsi una manganellata da parte dei poliziotti intervenuti per separare il difensore francese da una trentina di ultras.
Stesso anno, sponda opposta: quattrocento tifosi biancocelesti invadono Formello, furiosi per il rovescio nel derby (finì 1-5 con poker di Montella), e squadra costretta al ritiro in riva al Lago di Garda. Nel 2001 fu invece la volta di Antonio Carlos Zago. Il difensore brasiliano – bersaglio dei tifosi biancocelesti soprattutto per lo sputo nei confronti di Diego Pablo Simeone – infortunato, non era al seguito della squadra in trasferta a Torino. Assieme alla moglie Sonia, Zago aveva accompagnato la figlia dodicenne al ricevimento di una sua amica che stava festeggiando la Prima Comunione. Fuori da un ristorante dell’Eur, nel tragitto fino alla macchina, un uomo inizia a fare pesanti apprezzamenti sulla moglie del brasiliano, insultandolo e urlandogli contro. Gli ultras laziali diventano cinque, accerchiano Zago intorno all’automobile, uno sale addirittura sul tettino e, oltre agli insulti, partono anche calci e pugni di fronte alla bambina in lacrime. L’intervento di un agente in borghese sventò il peggio ma il calciatore venne condotto al Sant’Eugenio contuso. Episodi che raccontano come le vicende calcistiche si trasformino spesso in scene di guerriglia urbana.
Il Tempo – F. Schito