Repubblica (S. Scotti) – Ci saranno anche 21 modi per dirti ti amo, ma non sempre si trova quello giusto. Non questa volta. L’Olimpico si era preparato alla favola con la solita dose di incoscienza, ingenuità, amore incondizionato: tutto esaurito, cori, bambini vestiti con la 21 di Dybala, l’applauso per il campione che non si è congedato dal posto dove lo considerano un re, adesso farà qualcosa, ci pensa lui. No. Dare senza ricevere, un classico che non invecchia mai. Se la partita è solo tra l’entusiasmo di 60 mila persone felici perché Dybala ha detto ‘no’ all’Arabia e a svariati milioni e un Fazzini che è imprendibile, che si diverte in mezzo a una Roma che non ha il suo passo, spaccata, lenta, lunga, confusa in difesa, stordita dalla velocità dell’Empoli, il risultato è che il lieto fine è (per la Roma) un brutto finale.
De Rossi in panchina è impotente, a fargli compagnia solo la fedelissima bottiglietta d’acqua, non lo aiuta nessun altro. Il tecnico ha provato a cambiare nel secondo tempo, a mettersi a specchio con la difesa a tre: ma non è la serata di Dybala, non è la sua, non è la serata della Roma, il palo al 93’è simbolico, se non è favola, non c’è neanche il principe azzurro. Neanche il gol di Shomurodov, ricomparso d’incanto per quegli strani giri del calciomercato che ripropongono gente dimenticata, lo preoccupa. E lo capisce quando al fischio finale di Zufferli ci sono solo fischi per una squadra incompiuta, inconcludente, a perenne caccia di un futuro che non arriva mai. Che sogna una favola, un bel “c’era una volta”. Una volta almeno, anche se una volta soltanto.