Corriere dello Sport (M.Evangelisti) – Allora, vediamo. C’è lo stadio. C’è una proprietà solida e radicata da 93 anni. C’è una forza di volontà abbastanza violenta da piegare il codice genetico e convincere i giocatori che vincere sia l’unica opzione disponibile. Questi sono gli accessori indispensabili che caratterizzano la Juventus e nelle ultime cinque stagioni hanno tracciato il distacco tra lei e le altre. In particolare dalla Roma, che volente o nolente nel triennio appena trascorso è stata la sua principale avversaria. Senza nulla togliere al Napoli capace or ora di inserirsi al secondo posto.
PIATTAFORMA – Esiste però un’altra differenza fondamentale. Con la Roma, soprattutto. Da una parte, naturalmente dalla parte della Juventus, il terreno su cui poggia il gioco della squadra intera è sempre lo stesso. Concimato, arato e ben irrigato, ma sempre lo stesso, solido e collaudato. Tutto comincia dalla difesa e la difesa bianconera è stabile da quattro campionati. Cinque anni orsono la Juve difendeva a quattro. è vero. Però in mezzo cominciavano a fare la conoscenza reciproca i tre che adesso costituiscono pure la piattaforma infrangibile della Nazionale di Conte. Vanno in Europa, con la Juve o con l’Italia, e serrano i cancelli. Non solo: avanzano e impostano, ciascuno con le proprie caratteristiche. Andrea Barzagli, Leonardo Bonucci e Giorgio Chiellini, con l’aggiunta di Lichtsteiner e De Ceglie nel 2011-12, formano la retroguardia che con regolarità incassa meno gol in campionato. Nessuna eccezione. Fino ad arrivare ai 20 presi nell’ultimo torneo. Evidentemente funziona. Alla Roma non se ne danno per inteso. Continuano a cambiare, spostare e mescolare. E questo qualche volta funziona e qualche volta no. Sembra abbastanza chiaro che nel lungo periodo funzioni assai meno della strategia juventina. E’ anche vero che dal 2011 è stata sostituita più volte la guida tecnica. Ma non si tratta soltanto di questo. Anzi, spesso gli allenatori si lamentano di non riuscire a lavorare due anni di seguito con gli stessi uomini, il che li costringe a ricominciare daccapo ogni volta con i movimenti difensivi. Nelle cinque stagioni di cui parliamo, che guarda caso corrispondono alle cinque di proprietà statunitense, la Roma ha cambiato 16 difensori, limitandoci a contare quelli che stabilmente vengono a comporre la linea titolare. Dato che salvo poche e saltuarie occasioni i giallorossi schierano una difesa a quattro, questo significa che su un totale di 20 posizioni nell’arco dei cinque anni c’è un tasso di volatilità degli uomini superiore al 75%.
CESSIONI – Il direttore sportivo Walter Sabatini, si sa, considera i difensori, soprattutto quelli centrali, pedine sostituibili. Quindi proficuamente utilizzabili per fare cassa. Da quel punto di vista la sua visione è fruttifera: basta pensare ai soldi incassati per Marquinhos, preso a 5,7 milioni dal Corinthians e ceduto per 31,4 al Psg. A quanto pare non si tratta di una concezione del mondo che va a tramontare. La cessione di Antonio Rüdiger al Chelsea era già stata avviata prima che il ginocchio del tedesco si avvitasse. Lo stesso Kostas Manolas, ora punto fisso visti gli sviluppi recenti, era visto come una plausibile fonte di denaro fresco. Questa filosofia ha un altro punto debole: costringe in caso di problemi improvvisi ad adattare in difesa uomini destinati ad altri incarichi. E’ il caso di Florenzi, è stato persino il caso di Taddei a suo tempo. Già che ci siamo potremmo parlare dei portieri, un ruolo che alla Roma non trova un interprete che duri più di un paio di stagioni dai tempi di Giovanni Cervone. D’accordo, Buffon è unico. Ma questo non è un buon motivo per cambiare discorso.