Pagine Romaniste (dal CONI F.Biafora – D.Moresco) – Come ogni anno, alla fine della stagione sportiva viene assegnato il ‘Premio Bearzot‘, riconoscimento promosso da US Acli in collaborazione con la Figc. Quest’anno, il premio è stato assegnato all’allenatore della Roma Eusebio Di Francesco, presente oggi al Salone d’Onore del Coni; assieme a lui, il direttore generale della squadra giallorossa, Mauro Baldissoni. Oltre a loro, presenti numerosi volti noti dello sport, come il numero 1 della Figc, Roberto Fabbricini, il presidente del CONI Giovanni Malagò, Giancarlo Abete, Ubaldo Righetti, il presidente dell’AIA Marcello Nicchi ed il presidente dell’Aiac Renzo Ulivieri. Oltre al ‘Premio Bearzot‘, sarà presentato per la prima volta anche il premio dedicato a Stefano Farina, l’arbitro scomparso nel maggio del 2017. A ritirarlo, come miglior arbitro emergente, Fabio Maresca.
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Ore 13:40 – Prima lasciare il Salone d’Onore del Coni Di Francesco si scatta della foto con i bambini presenti.
Ore 13:15 – Bel gesto di Di Francesco. L’allenatore della Roma infatti dona l’assegno ricevuto al Bambin Gesù. Queste le sue parole:
“Ho scelto il Bambin Gesù di Palidoro per devolvere l’assegno. Al di là che ci sono stati pochi giorni fa, ed è stata una bellissima esperienza. E’ un vero piacere aiutare il Bambin Gesù che rappresenta un fiore all’occhiello della nostra città. Ringrazio un po’ tutti senza citare nessuno in particolare perché non mi piace indicare. Dico solo che nel calcio esiste la squadra e non il singolo“.
Ore 12:45 – Eusebio Di Francesco riceve il Premio Bearzot. Queste le sue parole:
C’è stato un po’ di scetticismo all’inizio?
Sì l’ho avvertito è normale ma fa parte del gioco: la capacità, l’equilibrio, rimanere sereni e consapevoli di quali sono le proprie capacità, i propri mezzi e cercare di trasferire in un ambiente, ed in particolar modo in una squadra, il tuo pensiero che non è solo di calcio, perché oggi abbiamo parlato anche di uomini. E credo che questo premio, al di là dell’aspetto tecnico, credo che in Italia ci siano tanti grandi allenatori: la nostra forza deve essere quella di mantenere costantemente in un gruppo una mentalità, un modo di fare ed una serietà che alla lunga ci porta ad avere risultati importanti. Dico che alla fine non si è vinto niente, ma da mio punto di vista vincere non è solo portare a casa dei trofei ma già riuscire a cambiare un qualcosa all’interno di un contesto, deve essere un piccolo successo che poi, un domani, mi auguro possa venire anche in campo.
Che voti dai alla Roma in campionato e in Europa?
In Europa straordinario anche se quando si arriva in semifinale l’ambizione quella di ambire a qualcosa di più importante. Non dico che c’è mancato qualcosina, ma specialmente quella mezz’ora di Liverpool ci ha tolto quella grande soddisfazione che avremmo potuto avere. Abbiamo dimostrato di poter competere e di poter battere anche il Liverpool. Questo dispiace, anche se i ragazzi, anzi tutti abbiamo cercato di dare il nostro meglio e abbiamo trascinando un ambiente, creando un entusiasmo che ancora mi vengono i brividi a rivedere le immagini. Sarebbe stato bello stare a Kiev, avrei voluto prendere questo premio prima di andare a Kiev. Nel campionato abbiamo avuto momenti di difficoltà, ma dico sempre che a me non piace guardarmi indietro e che bisogna guardare avanti, e dico che anche nei momenti di difficoltà c’è una crescita, e vale per me, per i miei ragazzi e vale per l’ambiente che tengo a tutelare principalmente che è Trigoria.
Visto che lì è presente anche Baldissoni, avete fissato l’appuntamento per rinnovare il contratto?
E’ l’ultimo dei problemi per quanto mi riguarda anche se sono convinto che troveremo con grandissima facilità un accordo. Nello stesso tempo ho ancora un altro anno di contratto. Non ne abbiamo neanche parlato, lo può confermare anche il direttore, quello che è importante è capire cosa dobbiamo fare per migliorarci per il bene della Roma, che non è solo il campo, ma cercare di cresce e migliorare insieme. Questo è l’obiettivo. Per il contratto vedremo più avanti.
Interviene Baldissoni: “Con Eusebio parliamo di cose molto più importanti del suo contratto, parliamo di cosa occorre fare per continuare a crescere e abbiamo idee molto analoghe. Visto che ne parliamo insieme è scontato che vogliamo continuare insieme”.
A Baldissoni: Tutte le squadre italiane devono crescere, altrimenti la Juve vincerà lo scudetto per altri 20 anni…
Tutto il calcio italiano dovrebbe crescere. C’è tanto da fare per riportare il calcio italiano dove deve stare, più avanti di altre leghe europee. Per quanto ci riguarda, il percorso iniziato – che non è solo quello in campo ma è anche quello fuori – è chiaro ed evidente, puntiamo al mondo, ad un calcio globale, sia per quanto riguarda i calciatori sia attirare partner pubblicitari che consentono poi di poter mettere in campo i calciatori migliori che sono quelli che fanno divertire la gente. Noi continueremo a farlo, sperando di riuscirci sempre meglio e siamo convinti di continuare con Eusebio. Il percorso fatto in Europa è quello che ha dato più luce e risalto alla squadra e alla società. In certi contesti bisogna presentarsi sapendo di essere protagonisti, indipendentemente da quelle che sono le differenze di potenzialità e le aspettative. L’atteggiamento dimostrato dalla squadra è quello che ha consentito di arrivare in semifinale, ed il primo merito è del nostro allenatore.
Che significa allenare la Roma?
Sicuramente è un motivo di grande orgoglio, si fa questo lavoro per cercare di ambire a qualcosa di importante. Il mio desiderio principale era quello di poter allenare la Roma, ci sono riuscito, ora devo essere bravo a tenermi il posto.
Rispetto all’esperienza che ha avuto a Roma da calciatore, ha trovato cambiato l’ambiente romano da quando era giocatore? Ed il gap che dovete colmare, riguarda più la mentalità o è più un aspetto tecnico, tattico e di giocatori?
Il gap è sicuramente un po’ per tutte e due le cose. La mentalità è una cosa che oggi coltivi e poi abbandoni, si costruisce con la continuità. Parlavamo prima di gesti tecnici: la ripetitività di ciò che si fa è fondamentale. Essere inchiodati ad un pensiero ed il riportarlo costantemente e quotidianamente è fondamentale. E’ come a casa con i figli, che si dimenticano ciò che tu hai provato ad insegnare e portare come mentalità. Allora avere un comportamento importante e ricreare un senso di appartenenza con i tifosi, che secondo me poteva essere un po’ svanito. Invece ricreare questo sentimento con i tifosi e avvicinarsi a loro – perché il tifoso vive del contatto con i propri idoli. Magari prima esisteva con maggiore facilità, adesso diventa una cosa un po’ rara. Per quello invito sempre i miei ragazzi a condividere con la gente anche una fotografia perché devono essere solo felici di farla, perché un domani quando non glie la chiederanno più sarà il problema più grande.
Lei per chi avrebbe votato?
Sicuramente Inzaghi, anche se è la sua squadra è la prima avversaria della Roma, ha fatto un grande lavoro. Al di là dell’aspetto tecnico, penso sia stato bravissimo nella gestione del gruppo. Principalmente perché io vengo, tra virgolette, da una squadra di provincia e quindi da esperienze differenti, che sono secondo me fondamentali e formativi per poi gestire al meglio un gruppo e un ambiente. Credo che abbia fatto un grandissimo lavoro e lo metto insieme a Giampiero Gasperini che è stato eccezionale con l’Atalanta per quello che ha fatto e per quello che ha portato in Europa. Si avvicina alla nostra mentalità aggressiva, al desiderio fare la partita, al desiderio di essere aggressivi, di non essere attendisti: quello è un po’ il mio calcio, a me non piace vedere le squadre che stanno in attesa o di prenderle o di darle. Mi piace andare a fare le partite e questo lo rivedo in alcuni allenatori che hanno questa mentalità.
Di Francesco commenta un video con i complimenti degli altri allenatori…
In Italia ci sono ottimi allenatori, ognuno cerca di esprimere un pensiero di calcio. In Italia ci sono tantissimi tifosi-allenatori che scelgono il loro beniamino ma ogni tecnico deve avere il proprio pensiero.
Fai più complimenti a Allegri o Sarri?
Allegri ha fatto qualcosa di straordinario, perché non è mai facile vincere in maniera così consecutiva, dominare e arrivare in finale, meritando secondo me anche la semifinale di Champions per come era andata la gara contro il Real Madrid. Per quello ha fatto un percorso straordinario, con un pensiero ed un modo di vedere il calcio diverso da Sarri. Io mi avvicino un pochino più a Sarri nel modo di mettere la squadra in campo e ad Allegri nella gestione del gruppo. Non posso giudicare quello che fanno loro all’interno, ma ritengo che sia molto importante. Sono due grandissimi allenatori, con qualità differenti.
Qual è la chiave di volta per essere testimoni di coraggio, caparbietà e tenacia, valori per i quali è stato premiato?
Io credo che sul coraggio, quelli che sono gli allenatori, gli educatori, quelli che sono i miei colleghi, hanno tolto un po’ il desiderio dell’1 contro 1, del dribblare e infondere in ogni calciatore il desiderio di superare l’avversario. Credo che questo tipo di calciatore faccia la differenza. La mentalità, al di là delle qualità tecniche – perché là dove vedi la forza, la capacità ed il coraggio di superare un avversario -, la dobbiamo infondere noi ai ragazzi, anche quando sbagliano. Perché la forza è quella di saper far capire principalmente quando, come e perché una cosa la si fa, ma nello stesso tempo devono aver la forza di saper sbagliare. Quando si fanno vedere le partite ai ragazzini io sto due minuti e me ne vado.
Perché?
Perché prima di tutto, il primo pensiero che c’è quando un ragazzo cerca di dribblare uno e perde palla viene subito richiamato dicendogli di buttare la palla. Questo non è coraggio, è paura. Questo non è il desiderio di incitare un ragazzo a cercare di migliorare o a riprovare un qualcosa di importante. Io dico sempre ai ragazzi di osare, questo è fondamentale. Allo stesso tempo la caparbietà, il desiderio di migliorarsi giorno dopo giorno, credere nei propri mezzi, cercare il lavoro duramente è fondamentale. Quello che mi dà fastidio nei ragazzini è che quando prendi un impegno, anche se è quello di giocare nell’oratorio, lo devi fare al massimo. Qualsiasi cosa faccio devo farla al meglio di me stesso, mentre spesso i ragazzini li vedi arrivare al campo per perdere un’ora di tempo perché non hanno voglia di stare a casa. Noi invece dobbiamo dare loro il valore dello sport, a tutti i livelli. Non significa solo a livello professionistico. La tenacia è quella di non mollare mai, e si lega anche a queste cose: nelle difficoltà bisogna saper combattere, passare attraverso momenti difficili, anche attraverso il sostegno della propria squadra e del proprio tecnico per cercare di poter arrivare ad ogni obiettivo, che significa prima di tutto crescita.
Come si fa ad essere un bravo educatore con i grandi campioni?
Mi ricollego innanzitutto al premio Bearzot e tenevo a dire che sono molto orgoglioso di riceverlo, perché Enzo Bearzot è uno dei miei ricordi adolescenziali. Avevo 13 anni e vedevo l’Italia nell’82, ed il primo pensiero che avevo – per l’entusiasmo che creava in me vedere le partite, vedere le vittorie – erano l’entusiasmo e la serenità con cui le viveva Eno Bearzot, la serietà ed il modo in cui lo trasmetteva ai calciatori, ce l’ho ancore in testa ed è tutt’ora per me di grande insegnamento. Il desiderio è quello di arrotolare una pallina di carta ed andare a lavorare fuori con gli amici, e questo è uno dei ricordi più belli, che si lega credo anche a questo premio, in ricordo di un grandissimo allenatore che ci ha fatto vivere delle notti straordinarie. Alla base c’è la famiglia e ci sono valori importanti che cerchi di trasmettere all’interno di una squadra e a te stesso. A volte ci metti un po’ più di tempo, a volte non riesci ad entrare, ma quando hai la tenacia, la forza, il desiderio e davanti ti trovi la disponibilità dei ragazzi sono convinto che alla lunga queste cose le riesci a trasmettere.
Sei stato prima team manager, poi direttore sportivo. Adesso che sei diventato allenatore sei diventato un po’ matto?
Ogni tanto bisogna diventarci, te lo assicuro, per cercare di spostare gli equilibri. Dipende un po’ dal contesto. Ho trovato il mio percorso, che è quello che dico sempre ai ragazzi. Nella vita poi si arriva sempre a cecare quello che si vuole. Quando ci si guarda sempre intorno si capisce dove si deve andare. Tornando alla famiglia, mio padre mi diceva sempre “Vai a giocare fuori, perché se rimani qui ti metto a lavorare”, perché noi avevamo un’attività. Così sono andato a giocare ad Empoli. E anche quando ho smesso mi ha sempre detto di prendere il patentino da allenatore: io gli dicevo “Sei matto?”, ma sono tutto un insieme di cose che alla lunga, con le persone giuste, al posto giusto e al momento giusto, possono essere di grande aiuto.
Alisson resta?
Sì, giusto.
Un pensiero su Mancini?
Sicuramente è lui a dover dare consigli a me per l’esperienza che ha. Credo che sia la scelta giusta e credo che la scelta sia stata di cuore che è la cosa più importante. Il consiglio lo do alla gente: basta guardare indietro, bisogna guardare avanti.
Ore 12:35 – Sale sul palco il presidente dell’Aiac Renzo Ulivieri. Queste le sue parole:
“Di Francesco, al di là delle scelte tecniche, si è trovato nella condizione di dover fare delle scelte di gestione. Eusebio ha tutta una storia dietro e credo che la scelta sia finita sull’uomo giusto quest’anno“.
Ore 12:30 – Prende la parola il numero uno della Figc Roberto Fabbricini. Queste le sue parole su DI Francesco:
“Eusebio Di Francesco ha lavorato da una panchina di provincia ad una panchina molto importante. Ha fatto molto bene, ha fatto un percorso splendido in Europa e ha dimostrato delle qualità come tecnico. Ha una grande capacità di assemblare bene gli aspetti offensivi e difensivi della squadra. Anche la Roma mi ha molto divertito. Il premio ad Eusebio è stato dato con quasi l’unanimità“.
Ore 11:50 – Presso il Salone d’Onore del Coni arrivano Eusebio Di Francesco e Mauro Baldissoni, rispettivamente allenatore e direttore generale della Roma.
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