La Gazzetta dello Sport (M.Cecchini) – Arrivano in gruppo all’improvviso, attraversando i controlli del lato meridionale del piazzale. Le loro ombre sono piccole e nitide, perché il sole delle 15.30, qui a Gerusalemme, sa essere ancora alto e feroce. È la Roma, o meglio, quella delegazione che ha scelto di lasciare per qualche ora il fresco “condizionato” dell’hotel di Tel Aviv per andare a visitare il Muro Occidentale, come viene chiamato dagli israeliani, ma che quasi tutto il mondo conosce come il Muro del Pianto.
Sacro e profano, in questa zona, sono abituati a convivere, ma la calca intorno a José Mourinho e la sua corte di fedelissimi innesca piccole frizioni in un luogo che sarebbe deputato alla preghiera. Dirigenti e giocatori – Mancini, Rui Patricio, Bove, Boer, Vina, Ibanez, Spinazzola e Dybala vorrebbero una privacy che il calcio sembra non poter regalare. I fotografi e i cameraman israeliani, soprattutto, sembrano agguerritissimi arrivando a discutere con la polizia. Per allentare la pressione, soprattutto intorno a Mourinho, la comitiva entra nell’Aish World Center, dove trovano a accoglierli il ministro del Turismo, Yoel Razvozov, che li intrattiene con saluti e spiegazioni. Escono dopo pochi minuti, ma persino la sicurezza non regge l’urto di turisti, curiosi e giornalisti, così il gruppo – quando si avvicina al Muro – si innervosisce. Alla fine, un cordone si forma grazie a delle sedie e alla polizia.
Come da tradizione, tanti giallorossi infilano nel Muro dei bigliettini con preghiere da esaudire. Dybala ne mette più di uno, in alto e in basso. Anche Mourinho compie un gesto che pare far supporre l’aver inserito un foglietto di carta. La delegazione si incammina in direzione del Santo Sepolcro, il portoghese chiede una foto sotto la targa della Via Dolorosa e si va avanti mentre la guida spiega.