Leggo (F. Pasqualetti) – Conosce bene Roma e i romani, pregi e difetti di una città sicuramente complessa. Ed è così che il prefetto Franco Gabrielli, ospite ieri nella redazione di Leggo, dopo le esperienze di L’Aquila e della Concordia ora prova a portare in salvo anche la Capitale. Con un’impostazione forte e sicura, sta ascoltando i cittadini incontrandoli nei vari quartieri: «non ho bisogno di fare promesse alle persone che lamentano disagi, fortunatamente io non sono alla ricerca di consensi: devo solo fare il mio dovere». Un impegno costante, alle prese con un territorio fuori dagli schemi tanto che, dati alla mano, assicura: «Non paragonate mai Roma ad altre realtà: qui ogni municipio è grande come una città intera». E affrontando le criticità, anche in vista del Giubileo, spiega: «Si tratta di dedicare a Roma un’attenzione ordinaria e non straordinaria solo in vista del Giubileo che, comunque, sarà una boccata di ossigeno». Sicurezza e controlli, quindi, sono il tema centrale: «Mancano all’appello 4-5mila divise: circa 2mila tra i vigili urbani e 3000 tra i poliziotti. Dobbiamo partire da qui».
Prefetto, nelle sue tappe per i municipi, cosa ha percepito?
«La gente vede poche divise e la cosa connessa al progressivo impoverimento degli organici delle forze dell’ordine. Ci aggiriamo su un disorganico di 4.000-5000 persone, quasi 2.000 nella polizia municipale, le forze di polizia di circa 3.000. Gli organici sono scarsi, quindi, in più da quando ho lasciato la questura di Roma nel 2004 c’è stato un progressivo insenilimento del personale. Girando nei municipi ho visto negli uffici della polizia di stato che subisce un disorganico maggiore rispetto all’arma dei carabinieri, una carenza di personale nell’ordine del 50%. La sfida, senza miraggi di chissà quali ripianamenti negli organici, è trasformare le singole debolezze in forza, intercettando i bisogni e le urgenze e costruire un percorso sulla cruda realtà dei fatti».
Lei ha strutturato 15 micro-prefetture nei municipi romani?
«Il prefetto coordina la sicurezza attraverso un organismo consultivo, il comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica all’interno allargato a figure istituzionali come il sindaco. Io ho semplicemente riprodotto a livello dei municipi questo schema: c’è un dirigente di prefettura che presiede il tavolo a cui siedono i rappresentanti delle forze dell’ordine sul territorio, del Gabinetto del sindaco, il presidente del municipio, con la novità della presenza della finanza e del corpo forestale. Quello che ho raccomandato a questi tavoli è individuare tre o quattro problemi urgenti e iniziare a lavorarci, se si vedranno le soluzioni bene, altrimenti vorrà dire che bisognerà aggiustare il tiro. Il mio metodo si basa su tre parole: dialogo, perché vado nei territori ad ascoltare; condivisione, che avviene nei tavoli in questione; verifica».
Era messa meglio la Concordia il 13 gennaio 2013 o il Campidoglio oggi (dopo la seconda ondata di arresti di Mafia Capitale)?
«È una domanda molto semplice ma che rischia un po’ di banalizzare la questione. La Concordia era una situazione ben definita dove erano ben definiti i soggetti responsabili, dove l’operazione è stata straordinaria ma all’ interno di contorni ben precisi. Qui è un’altra storia».
In questa storia dovrà esercitare presto i suoi poteri, però.
«È opportuno ripristinare le verità. La commissione di inchiesta, che penso stia lavorando alacremente anche alla luce di queste nuove carte, mi consegnerà la relazione entro il 16 giugno, questa è la dead-line. Da questo momento scatteranno i 45 giorni in cui io dovrò leggerla, farmi un’idea e sentire il Comitato per l’Ordine e la Sicurezza allargato anche al Procuratore della Repubblica l’investigatore per eccellenza, per un parere consultivo che però avrà un suo peso. Non nego che quello che scriverò avrà un certo rilievo, ma non sarà la decisione definitiva: in seguito il ministro dovrà fare le sue valutazioni ma soprattutto sarà centrale la delibera del Consiglio dei Ministri e in fine, l’eventuale atto finale – qualora si arrivasse allo scioglimento del Comune – che è quello del Presidente della Repubblica».
Come valuta un possibile scioglimento per mafia del Comune?
«Ho già detto che sarebbe una iattura. E questo non vuol dire che, qualora rinvenissi gli estremi, non lo proporrò. Mi riferisco alle conseguenze in termini di ricaduta sulla già poca credibilità che abbiamo a livello internazionale. E poi alle conseguenze pratiche: il Comune di Roma non potrebbe andare ad elezioni da un anno a 24 mesi e il commissario che verrebbe nominato si troverebbe per tutto questo tempo – che comprende anche il Giubileo – a governare una macchina ora gestita da quasi 500 persone. Oltre al Comune si scioglierebbero tutti i municipi, senza contare il fatto che tutti i soggetti al loro interno diventerebbero incandidabili. Tutti…».
È preoccupato dal possibile innesco di rappresaglie dopo episodi come quello di Primavalle?
«Moltissimo. Mi permetto di dire che mentre il rifiuto degli immigrati è un tema su cui gli immigrati hanno poca incidenza e invece è caratterizzato da moltaipocrisia e falsità, cosa diversa sono le vicende che attengono ai rom. Bisogna uscire fuori da un certo buonismo: lamentarsi dei roghi, ad esempio, è una sacrosante rivendicazione del diritto alla salute. Io l’ho detto anche alle associazioni che rappresentano il mondo dei rom: o questi signori comprendono che una parte significativa del loro essere all’interno di una comunità dipende anche da loro o sennò anche loro in parte saranno responsabile del loro futuro. E non mi riferisco solo al fatto gravissimo dell’uccisione della povera Corazon, perchéin fatto di omicidi stradali i rom non hanno il copyright, ce l’hanno invece dei roghi tossici, del rovistaggio e di alcune forme di microcriminalità che provocano una insofferenza trasversale».
E poi c’è il Giubileo…
«Ci sarà un aiuto del Governo in termini di forze dell’ordine. È un Giubileo che non è comparabile con quello del 2000, è sicuramente un Giubileo ai tempi dell’Isis. Io però sono preoccupato tanto per l’Anno Santo quanto per adesso, quindi, insomma, anche questa affermazione va contestualizzata ma non serve eccessivo allarmismo».
Il derby?
«È ovvio che giocare il derby a porte chiuse è una provocazione, non si va così leggeri nel prendere decisioni di questo tipo. Ma le motivazioni alla base della provocazione ci stanno tutte: non si possono destinare 1700 uomini alla gestione di un evento sportivo, mentre la gente nei municipi mi dice che non vede una volante. Non ce lo possiamo permettere. È diventata ormai una prerogativa romana l’uso dei coltelli, delle lame, che per fortuna spesso si risolvono in fatti gravi ma non gravissimi, le famose puncicate»