Eppure poteva finire diversamente, con merito o senza, con la gioia allegra di sentirsi superiori o con la malinconia del risultato strappato di furia e di rabbia. Che poi sono doti delle squadre al lavoro per vincere qualcosa. Poteva finire diversamente se l’arbitro avesse dato a Pjanic quel che era di Pjanic, il rigore quando si è trovato davanti le gambe del difensore alte come gli ostacoli di un concorso ippico.
«Sono stato toccato, l’ho sentito – racconta Pjanic – Quel rigore si poteva fischiare. L’arbitro non lo ha fatto». Più fastidio che ira. «E più dispiacere ancora. Eravamo venuti a Torino per vincere. Non c’è stato solo quell’episodio. Un paio di volte avremmo dovuto avere falli a favore e non è accaduto».
La Roma è stanca, non distrutta. De Sanctis insiste su questo concetto: «Era la terza partita in otto giorni. Normale si sia sofferto un po’. Anche se avevamo cambiato cinque undicesimi della formazione. Io mi accontento, anche e soprattutto perché non ci siamo fermati. Sull’1-1 le abbiamo tentate tutte per vincere». Accontentarsi non significa essere soddisfatti. «Infatti non lo sono. La vittoria ci è sfuggita per questione di centimetri. Ma è positivo il fatto che non siamo contenti di un pareggio esterno. Abbiamo ottenuto 31 punti tutti frutto del lavoro sul campo. Quelli che ci siamo meritati con le nostre mani e i nostri piedi. E siamo ancora avanti di tre punti sulle inseguitrici più vicine. Restiamo padroni del nostro destino. Inseguire è più faticoso che scappare».