Il braccio e la mente? Troppo riduttivo per entrambi. Più bello chiamarli gemelli diversi, eredi di una tradizione che faceva recitare – quasi fossero una sola parola – «falcaocerezo» per arrivare a «derossipizarro». Adesso, invece, è arrivato il tempo di Miralem Pjanic e Radja Nainggolan, poesia e potenza allo stato puro. Quanto basta perché alla Roma pensino in grande.
D’altronde, se il centrocampo giallorosso è primo per possesso palla e precisione di passaggi, il merito è soprattutto di questa coppia, che ha nel bosniaco anche un giocatore dotato di una straordinaria precisione sui calci piazzati. E allora, pur vivendo nell’era della magie di Pirlo, si scopre come Pjanic sia il giocatore che abbia segnato di più su punizione dal 2011, cioè dall’arrivo alla Roma: ben il 13%, cioè 7 su 52. «Con Parma e Inter quest’anno è andata bene –spiega Pjanic a Roma Radio – ma non vivo per il gol.
Forse tiro poco, ma a volte preferisco passare ai compagni, questo è il mio gioco. I calci da fermo? Mi piace tirare le punizioni e ho sempre la sensazione di poter fare gol. Non tiro come il mio maestro Juninho Pernambucano, il suo è proprio un calcio diverso, ma segnare è sempre bellissimo». E se si pensa che nelle ultime due partite dei giallorossi abbiano fatto gol da fermo prima Totti (contro il Cska) e poiPjanic (contro l’Inter) si capisce come la Romada questo punto di vista abbia degli eccezionali tiratori scelti. (…)
Vicino a lui, Nainggolan annuisce, confermando il grande momento. «Sto molto bene e sono inserito in una grande squadra – dice a Roma Tv –. Sono convinto che potremo toglierci tante soddisfazioni. Già nella scorsa stagione siamo stati in lotta per lo scudetto, ora vogliamo fare di più. Questo deve essere per forza l’anno giusto. La Juve è molto forte, però dobbiamo vincerne una in più di loro». A livello personale, poi, il Ninja si racconta così. «Io do tutto me stesso. Di base a me piace recuperare palla e far ripartire in fretta la squadra. Per il ruolo che faccio, dovrei migliorare in zona gol, anche se per me conta più la squadra». I titoli di coda sono sulla sua caratteristica «estetica»: i tatuaggi: «Per me è una forma d’arte. Ho iniziato da giovane, ma se trovo una ispirazione nuova ne aggiungo ancora. Tanto spazio in qualche modo ne trovo». Non abbiamo dubbi. Per questo non saremmo affatto sorpresi se a maggio vedessimo fiorire anche uno scudetto sulla sua pelle.
Gazzetta dello Sport – M.Cecchini