La Gazzetta dello Sport (D.Stoppini-A.Pugliese) – «Vamos a ser feliz». Il copyright è direttamente di Ronaldinho, uno dei tanti idoli sparsi nella sua adolescenza. Una frase detta come portafortuna prima di entrare in campo, quasi una dolce cantilena che a Gerson gira in testa come un mantra. Ed allora non contano più i 18,9 milioni di euro che la Roma ha speso per portarlo in Europa, la clausola nel contratto per il Pallone d’Oro o quella maglia numero dieci che Walter Sabatini gli spedì nel 2015 per convincerlo e che (dopo un suo post con tanto di foto) scatenò il putiferio perché considerata irriverente nei confronti di Francesco Totti (ancora abile e arruolato, all’epoca). No, tutto questo non conta più davvero, come non contano neanche i mancati prestiti a Frosinone o Lille, le difficoltà d’inserimento o quel Juventus-Roma che poteva tranciargli la carriera quasi come una tenaglia affilatissima. No, quel che conta è proprio quella felicità che Gerson ha trovato strada facendo e che punta a rispolverare ancora domani sera, se davvero Di Francesco deciderà di puntare su di lui al Camp Nou.
ANSIE BLAUGRANA – «Giocare al Camp Nou è un sogno, il Barcellona è una delle migliori squadre del mondo – ha detto il brasiliano qualche giorno fa a L’Ultimo Uomo –. Andiamo lì per giocarci le nostre possibilità, per cercare di qualificarci. Sappiamo che sarà una partita difficile, ma lo sarà anche per loro. Messi? Incontrarlo è un altro sogno che avevo, ma ne ho ancora molti da realizzare». Del resto, ritorniamo dritti dritti al punto di partenza è cioè alla ricerca della felicità. Fatta anche di piccole cose, di piccole soddisfazioni. Far bene a Barcellona potrebbe essere proprio una di queste, visto che proprio il club blaugrana (insieme anche alla Juventus) gli aveva messo gli occhi addosso pesantemente prima del passaggio alla Roma, così tanto che il Barça aveva addirittura versato al Fluminense 3,5 milioni di euro come opzione sui diritti futuri, «caparra» che poi il club brasiliano ha restituito a quello catalano. Ecco, domani la felicità – in caso – sarà anche nel riuscire a dimostrare che i più bravi al mondo non si erano poi sbagliati così tanto come invece, oggi, pensano in molti.
IL RUOLO – Già, perché se poi è vero che Di Francesco ha rigenerato il brasiliano, è anche vero che in tanti ancora si interrogano su quale sia il vero ruolo di Gerson. Trequartista? Mezzala? Esterno d’attacco? Una verità ancora non c’è, seppur lo stesso Di Francesco lo stia impiegando spesso proprio lì, alto a destra, dove lo schierò anche Spalletti lo scorso anno contro la Juve. «In effetti rimasi sorpreso anche io di quella scelta – dice Gerson – Mancai con la testa, da lì vennero fuori molti dubbi su quale fosse davvero la mia posizione. La cosa mi rattristò, ma la delusione durò poco. Se ti fermi a piangerti addosso, la vita passa e neanche te ne accorgi». E forse è anche per questo che Gerson va a caccia sempre della felicità. Perché le radici nella testa sono ancora a Belford Roxo, area metropolitana di Rio de Janeiro, non certo i palazzi lussuosi di Leblon o Barra da Tijuca. Lì è cresciuto Gerson e lì oggi ritorna con la mente quando pensa a come gli sia cambiata la vita. Non ci fosse stato il calcio chissà come sarebbe finita. «I miei amici dell’infanzia sono quasi tutti nel giro della criminalità o in carcere. Io ho sempre avuto la testa sulle spalle, ma chissà cosa avrei fatto, la vita è imprevedibile…». Già. Di certo, però, avrebbe comunque cercato un angolo di felicità. Dappertutto.