L’ex direttore sportivo della Roma, Gianluca Petrachi, è tornato a parlare della sua esperienza nella Capitale, dei calciatori acquistati e di James Pallotta. Queste le sue parole, a TuttoMercatoWeb:
Chi è il direttore sportivo per Gianluca Petrachi?
E’ il referente principale del Presidente. Deve fare i suoi interessi, in senso assoluto. Il ds si assume le responsabilità in virtù delle richieste della proprietà. Vuole i giovani? Vuole un progetto ambizioso? Vuole andare in Europa? Vuole una squadra matura e pronta subito per vincere un campionato? Alla base dell’inizio del percorso c’è questo: studi le esigenze della società e in base a questo metti a far fruttare le tue conoscenze.
Crede nell’autonomia?
Ci credo se è riferita a una condivisione di valori e scelte. Al Presidente posso dire ‘mi piacerebbe x o y a questo prezzo che è accessibile per un investimento’, oppure ‘questo è un usato sicuro o un prospetto che costa due lire ma può fruttarne venti’, deve esserci condivisione di idee. In primis col Presidente e con le sue linee guida e poi con l’allenatore.
Chi sceglie l’allenatore?
Come dicevo prima: il direttore sportivo ma in sintonia con la proprietà. Magari un Presidente si innamora di un tecnico che cozza con la visione del direttore o viceversa.
Lei ha sempre condiviso le scelte dei tecnici?
Da Pisa in poi, sì, tutto insieme ai miei Presidenti. Certo, a volte c’è stata condivisione totale, altre delle discrepanze. Poi ci sono situazioni contingenti, dettate dal momento o dai risultati, sulle quali aver controllo non è facile per nessuno ma l’idea di base è quella di condividere e avere la stessa filosofia.
Andiamo a Roma. Ai giocatori che ha preso nella Capitale…
Uno di quelli che andranno con tutta probabilità all’Europeo è Leonardo Spinazzola. E’ un orgoglio che ci siano tanti ragazzi nel giro azzurro la prossima estate, compreso Gianluca Mancini. Tornando a Leonardo: vero che a bilancio risulta a tanto ma c’è stata plusvalenza con la Juventus. Il differenziale, nell’affare che ha portato da loro Luca Pellegrini, è di 7 milioni. Ecco, per 7 milioni ho portato Spinazzola alla Roma. E poi Jordan Veretout.
Uno che anche dopo la fine della sua avventura a Roma, come abbiamo avuto modo di leggere, l’ha ringraziata.
Per 17 milioni più 2 di bonus ho portato a Roma il centrocampista attualmente più prolifico della Serie A e un ragazzo speciale.
Dalla Spagna ha preso Villar. Cosa l’ha colpita?
La sua postura. Si posiziona sempre nel modo corretto per ricevere il pallone, come se glielo avessero insegnato da piccolo. La postura è fondamentale, apri o chiudi il corpo e sei pronto per la giocata. E’ una virtù incredibile ma è un fattore sul quale Fonseca lavora tanto. Vuole giro palla veloce ma con lo scarico del centrocampista. Se la postura è sbagliata, scarichi sempre indietro.
Smalling e Mkhitaryan a zero posson essere definiti quasi due capolavori?
Henrikh come gol e assist anche in questa stagione è tra quelli col miglior rendimento. E Smalling, insieme a Mancini e Ibanez, a mio modesto avviso forma una delle migliori linee difensive del panorama internazionale.
Pau Lopez, invece, come un rimpianto? La gara con l’Ajax, potrebbe essere un nuovo inizio.
Sfato un “luogo comune”. Diciamo che non l’ho pagato 30 milioni ma che è la cifra a bilancio. Di mezzo c’è stata la metà di Sanabria: l’ho pagato 18, che comunque sono sempre tanti. Non sono dispiaciuto di aver preso Lopez, è un buon portiere e con caratteristiche giuste, scelto anche per come gioca coi piedi condividendo la scelta con Fonseca e con Savorani. Solo che ha avuto come un black out e quando sei un portiere è dura rialzarti. Immagino come abbia sofferto: fa grandi parate, decisive, come ieri, e a volte perde la serenità nel giocare coi piedi che era la sua miglior virtù.
Lei non è riuscito a decidere fino in fondo cosa fare della sua avventura alla Roma…
Credo che nella vita le separazioni consensuali siano quelle meno dolorose. Ognuno va per la propria strada, quando non c’è più amore finisce tutto. Solo che lì la separazione non è stata consensuale. La giusta causa non c’era e la giustizia l’ha dimostrato. Mi sono buttato a capo fitto in quel progetto, ho dato tutto e ci sono rimasto male. Ora però il tempo è passato, è stato galantuomo: la giustizia ha raccontato come sono andate le cose. E sono pronto, siamo pronti per un nuovo capitolo della nostra carriera.
In Italia?
Non amo andare all’estero, amo il mio paese, la mia nazione. Sono legato al territorio e sono pronto, in Italia, a sposare un progetto ovunque. Certo, dire questo può precludermi delle strade ma credo che la qualità della vita sia fondamentale. E come si vive in Italia…
Le manca l’emozione della decisione?
Quell’entusiasmo è alla base del nostro mestiere. Quel coraggio, quello di prendere D’Ambrosio dalla C2, è gratificante, bellissimo. Il rapporto con tutta la squadra, col tecnico. Io sono uno molto di campo, mi confronto coi giocatori e intervengo anche. L’ho fatto con Ibanez a Roma, per esempio, che giocava tutto tacco e punta. Come può farlo un allenatore che vuol fare il direttore, il tecnico, scegliere gli acquisti, le cessioni? C’è una sola voce, invece ‘a ciascuno il suo’.
Lei è social?
Non mi sento parte del mondo social, no.
A differenza del suo ex Presidente James Pallotta. Negli ultimi tempi c’è stata una svolta.
In parte lo giustifico. Pallotta ha commesso degli errori, affidandosi a persone sbagliate a distanza di tanti chilometri. E’ stato poco presente, doveva respirare l’umore della piazza ma vi confesso una cosa: avrebbe voluto restituire tutto coi risultati per poi ripartire. Voleva riprendere da lì, da quello che aveva tralasciato. Ci teneva particolarmente alla Roma ma così, a distanza, è tutto più difficile e spesso si sbagliano valutazioni e decisioni.
E’ come per il giocatore. Va bene il video, va bene lo studio, ma è dal vivo che si prendono le decisioni.
Torniamo lì. E’ tutta una questione di emozioni e di decisioni da prendere.