La Gazzetta dello Sport (M.Cecchini) – Strana la vita. Proprio il giorno in cui Lorenzo Pellegrini nasceva, Manchester diventava uno dei capolinea delle ambizioni azzurre. Era il 19 giugno 1996 quando l’Italia, pareggiando 0-0 contro la Germania, veniva eliminata da un Europeo a cui eravamo arrivati da vice campioni del Mondo. Invece quella sera persino l’Europa si era fatta troppo grande per noi, tant’è che Sacchi (criticatissimo) cominciò un lungo addio che si consumò poi a novembre. In campo quel giorno c’era anche Costacurta che adesso, guardando l’allenamento – nonostante voghi di nuovo con altri ruoli nella palude della ricostruzione azzurra – sembra più sereno rispetto a quel giugno malinconico. Merito anche dei ragazzi che Gigi Di Biagio sta allevando, tra cui spicca appunto il centrocampista della Roma. Uno di quelli che domani – probabilmente con Gagliardini e uno tra Bonaventura, Cristante e Parolo – sarà chiamato a reggere l’urto della corazzata inglese.
IL SEGNO – «Sento nell’aria che tutti vogliamo lasciare il segno – dice Pellegrini –. Non avverrà dalla mattina alla sera, ma bisogna ricominciare insieme. Abbiamo una squadra forte, occorre crescere insieme. Ci siamo stancati di vedere sempre gli altri vincere». Costacurta però ha detto che questo gruppo pare avere un blocco mentale e che le cose non sarebbero cambiate neppure con Mourinho o Guardiola in panchina. «Il blocco? Può succedere, visto che da anni facciamo fatica. Io però credo nel lavoro e non nei blocchi, anche se occorre risalire in fretta. Se Costacurta ha parlato di Guardiola e Mourinho, non credo che sia un attacco alla rosa, ma in ogni caso noi lo prendiamo come uno stimolo». Stimolo che non manca neppure a Di Biagio. «È molto carico e vuole dimostrare il suo valore. Dopo l’Argentina ci ha detto che è stato contento dell’atteggiamento. Io lo conosco: non gli sarebbe andato giù neppure lo 0-0, è molto ambizioso, voleva vincere e portare entusiasmo. Lui è molto diretto. Incarna quella italianità che ha voglia e bisogno di crescere non solo a livello calcistico. Il nostro obiettivo non è vincere le amichevoli, ma formare un gruppo per far tornare l’Italia dove merita di essere. Magari nel 2020, all’Europeo, saremo la squadra da battere».
LUI E LA ROMA – In cosa può crescere questo gruppo? «Con le qualità tecniche che abbiamo, possiamo migliorare nel far girare la palla». Sarà per questo che Di Biagio, più tardi, allenerà parecchio il gruppo nel possesso di posizione in stile Barcellona. E parlando dei catalani, il discorso scivola anche sulla Roma. «Meglio se Messi avesse giocato con la Nazionale e non contro di noi col Barcellona, ma se poi lo battessimo farebbe piacere a tutti». La Champions è un suo chiodo fisso, tant’è che spiega come l’Inghilterra abbia giovani di livello con in più esperienza da Champions. Domanda: e se la Roma non si qualificasse per la prossima Champions, cambierebbe il suo futuro? «Non ci ho pensato, ma non credo. A Roma sto bene. Vincere qualcosa per un calciatore è il primo traguardo. De Rossi e Totti hanno fatto la scelta di rimanere e si sono levati le loro soddisfazioni. Tutti dicono che vincere a Roma è come vincere 10 volte altrove, mi piacerebbe scoprirlo. L’ambizione la società ce l’ha. Certo, la Roma ora è un passettino dietro altre squadre, ma vuole raggiungerle e superarle». Sembra sentir parlare De Rossi, un monumento da cui Pellegrini ha ereditato il 16. «È un onore portare il suo numero. Fare il percorso che ha fatto Daniele in azzurro sarebbe stupendo. Magari quando torno gli chiedo qual è il segreto». S’informi anche con Buffon. «Polemiche immeritate su di lui. A 50 anni o a 10, se lo merita, uno deve giocare». Parola di un ragazzo nato in un giorno di sospiri.