Lorenzo Pellegrini ha rilasciato una lunga intervista ai canali del club. Il capitano della Roma si è raccontato e ha fatto un bilancio di questo 2021 che lo ha visto indossare prima la fascia di capitano, poi il rinnovo per altri cinque anni. Ma è stato un anno ricco di momenti significativi per tutta la Roma. Queste le sue parole:
L’inizio dell’anno è stato positivo, con due vittorie, il pareggio con l’Inter e il terzo posto. Poi sono arrivate la sconfitta nel Derby e l’eliminazione con lo Spezia in Coppa Italia: che impatto hanno avuto sulla squadra quei quattro giorni?
Certamente negativo. Sappiamo cosa significhi perdere il Derby. Eravamo messi bene in classifica, quindi la vittoria sarebbe stata importante per proseguire nel nostro percorso, ma non è stato così. E dopo lo Spezia – sia per la partita, sia per quello che è successo internamente – la situazione è peggiorata. Ma abbiamo reagito subito con la vittoria con lo Spezia in campionato con il mio gol al 93’.
Sono stati giorni difficili, che però sono coincisi con il tuo diventare il capitano della squadra, proprio da quel Roma-Spezia deciso da te. Dal punto di vista personale è stata una svolta?
Sì, è stata una svolta, però è arrivata in un modo non piacevole. Essere diventato il capitano per me è un onore incredibile oltre che una responsabilità, però mi sarebbe piaciuto diventarlo in maniera diversa. In quel momento la Società ha ritenuto opportuno che il capitano diventassi i,o ma per me Edin Dzeko restava uno dei capitani anche senza la fascia, così come lo ero io in precedenza o come lo sono tuttora Mancini e Cristante.
E quel gol al 93’ con lo Spezia, in una partita così significativa per te e per la squadra, che emozione è stata?
Grandissima. Infatti ho fatto un gesto che mai avrei pensato di fare dopo un gol: togliermi la maglia. Quel gol ci ha aiutato a scacciare quanto successo nei giorni precedenti. Dopo sei mesi positivi sembrava che in quei quattro giorni avessimo buttato via tutto quanto. Quella vittoria ci ha aiutati a rimetterci in carreggiata e a ricreare entusiasmo. Quell’entusiasmo che ad esempio ci ha portati avanti anche in Europa League.
Nelle settimane successive però l’andamento della Roma in campionato si è fatto altalenante: cos’è che ha smesso di funzionare e cosa cambiava invece in campo europeo?
Durante la scorsa stagione feci un’intervista dopo Roma-Crotone in cui dissi che eravamo molto dispiaciuti perché ci eravamo resi conto che inconsciamente stavamo pensando più all’Europa League che al campionato. Questa cosa è stata presa un po’ male, ma quello che intendevo dire è che in quel periodo, con tanti infortuni, squalifiche e pochi ricambi, spesso eravamo sempre gli stessi a giocare il giovedì e la domenica.
L’Europa League ci sembrava il cammino più veloce per raggiungere quello che tutti noi vogliamo fare sempre: portare un trofeo qui a Trigoria e festeggiare con i nostri tifosi. Andando avanti nella competizione, le partite diventavano sempre più intense e tornando dalle trasferte il giovedì alle tre di mattino, succedeva di avere meno energie in campionato, ma non era un qualcosa di voluto.
Qual è la partita o il momento del cammino fino alla semifinale che ricordi con più soddisfazione?
È il ritorno con l’Ajax perché secondo me era la squadra più forte della competizione e contro di loro abbiamo fatto tanta fatica, sia ad Amsterdam sia a Roma. Al triplice fischio abbiamo capito che avevamo compiuto un’impresa e che dovevamo puntare ad arrivare fino in fondo.
Poi c’è stato il Manchester. Gli infortuni, le difficoltà e il primo tempo chiuso in vantaggio grazie anche a un tuo gol. Quanti rimpianti ha lasciato quella partita?
Tantissimi rimpianti. Finisce la partita e ti ritrovi con tante domande senza risposta nella testa. Non so se era ma successo nella storia che tre giocatori si infortunassero nel primo tempo. Giocatori importanti come Veretout, Spinazzola e Pau Lopez. Jordan dopo due minuti, quindi la partita che avevamo preparato cambiava completamente. Nonostante questo dopo il primo tempo eravamo avanti 2-1, poi quello che è successo nella ripresa è ancora oggi incredibile.
E prima del ritorno con il Manchester è arrivato l’annuncio dell’arrivo di José Mourinho. Che impatto ha avuto per voi una notizia di questa portata?
È stato un fulmine a ciel sereno: nessuno si aspettava una notizia come questa. Quando si annuncia un allenatore del genere si crea un entusiasmo che è quello che continuiamo a percepire in tutte le partite all’Olimpico. A me vengono i brividi tutte le volte che giochiamo, anche di lunedì sera con lo Spezia ci sono 45.000 tifosi a sostenerci, cosa che per altre squadre non succede. Questo ci deve dare la forza per andare avanti e rendere orgogliosi tutti, dai tifosi a tutte le persone che sono intorno a noi, dallo staff ai dipendenti.
L’arrivo di Mourinho è coinciso con l’addio di Fonseca: cosa resta di queste due stagioni caratterizzate anche da un’emergenza sanitaria senza precedenti dovuta al Covid?
Mister Fonseca ha sempre cercato di trasmetterci il suo modo di pensare il calcio e per me ha lasciato un’eredità in tanti di noi. Mi ha insegnato molto, mi ha aiutato a crescere e lo ringrazierò sempre. Ho un ottimo rapporto con lui. Situazioni come quella dopo lo Spezia in Coppa Italia o come la pandemia e tutto quello che ha comportato non lo hanno aiutato, ma sono sicuro che troverà il giusto progetto per lui e che farà ancora bene.
Il 2021 è stato anche l’anno dell’Europeo, al quale hai dovuto rinunciare per infortunio. Quanto ti è mancato e quanto sei stato felice per i tuoi compagni, di Nazionale e di Club?
“Sono stato in contatto con i compagni per tutto il cammino dell’Europeo. L’ho vissuto come un tifoso che però conosceva gli uomini che scendevano in campo, quindi con ancora più trasposto. Si sentiva che c’era qualcosa di magico nell’aria, sensazioni difficili da spiegare. È stato un lavoro di tre anni che ha portato a formare questo gruppo di ragazzi concentrati tutti sullo stesso obiettivo”.
Cosa hai pensato nel momento dell’infortunio di Spinazzola?
Ero a cena con mia moglie e ci si è rovinata la serata. Ho capito subito che si trattava di un infortunio grave. Quando l‘ho visto a terra a piangere è stata una pugnalata. Ho iniziato a chiamare i dottori della Roma per sapere se avessero aggiornamenti. Ma sono sicuro che Leonardo tornerà più forte di prima: non è fantastico solo come calciatore ma anche come persona.
Luglio ha visto l’arrivo di Mourinho e il ritiro in Portogallo: qual è l’aspetto principale che ti ha colpito del suo modo di lavorare con la squadra?
La cosa che mi piace più del Mister è che gli interessa solo una cosa: continuare a lavorare per cercare di vincere. Questo è quello anche io voglio più di tutto. Ho 25 anni, gioco nella Roma e ho voglia di vincere. Tutti nel nostro lavoro vogliamo realizzarci e io come calciatore voglio vincere, voglio arrivare primo. Mourinho è esattamente quello di cui la Roma, i giocatori, i dipendenti, lo staff e i tifosi avevano bisogno. Penso che sia la persona perfetta al momento giusto.
Sono arrivati dei nuovi calciatori ed è stato il tuo primo ritiro da capitano. Ci racconti com’è andata, anche nel tuo nuovo ruolo?
L’ho vissuta molto bene. Tutti sanno che sono un ragazzo molto tranquillo fuori dal campo ma che sia partitella, calcio-tennis o possesso palla, mi piace vincere. Chiedo molto ai miei compagni e credo che questa sia una cosa fondamentale. Sono molto legato all’allenamento, sono tra quelli che pensano che la domenica giochi come ti sei allenato durante a settimana.
È importante mantenere sempre la concentrazione alta e stare fisicamente al meglio per poter mettere in pratica in partita quanto preparato in settimana. Questo è la mentalità che cerco di trasmettere ai miei compagni.
Con la nuova stagione c’è stato il ritorno del pubblico negli stadi: quanto vi mancavano i tifosi? Dopo aver fatto l’abitudine a giocare in stadi vuoti, com’è stato ritornare alla quasi normalità?
Abbiamo subito molto l’assenza del pubblico, soprattutto all’inizio. Per noi che siamo abituati non c’è sensazione più bella di sentire la reazione dei tifosi dopo una giocata o il tuo nome urlato dopo un gol. Senza tifosi sembrava che mancasse il motivo per cui stavamo giocando, anche se in fondo non era così. Anche a distanza i tifosi ci seguivano in ogni partita. Riabituarci al ritorno invece è stato facile e veloce, fa tutta la differenza del mondo a livello emozionale, ti dà non una ma dieci spinte in più.
La stagione giallorossa si è aperta con un tuo gol in casa del Trabzonspor e con sei vittorie nei primi sei incontri ufficiali.
Abbiamo vissuto quel periodo con grande entusiasmo. Ma lo stesso entusiasmo lo proviamo ora, non deve mai mancare e non deve passare solo per la vittoria ma anche dalla crescita continua di questo gruppo. Abbiamo iniziato un nuovo ciclo, con l’allenatore più vincente che c’è e che ha fatto la storia del calcio, con dei nuovi presidenti che tengono alla Roma come ci teniamo tutti, con tutte le persone che ogni giorno vengono a Trigoria. L’obiettivo di tutti è cercare di migliorarsi sempre e di portare la Roma a essere una squadra vincente, non una volta ogni 20 anni ma sempre in grado di competere per la vittoria.
Dopo le sei vittorie iniziali è partito un percorso discontinuo. Come lo analizzi e su cosa c’è da lavorare per trovare la giusta continuità.
Si lavora su tutti gli aspetti, mentale e fisico anche dopo le vittorie. Dopo la preparazione succede di avere un piccolo calo fisico per poi tornare a essere al meglio. C’è anche l’aspetto tattico, a inizio campionato le squadre sono ancora tutte da studiare, in stagione sono tante le cose che variano, migliorano o peggiorano per poi tornare a migliorare. L’importante è rimanere focalizzati sul migliorarsi giorno per giorno. Non c’è possibilità di fermarsi, non si può mollare su nessun aspetto ed è quello che facciamo quotidianamente insieme al Mister.
Visti da fuori sembrate molto compatti, come se le difficoltà incontrate non abbiano scalfito l’unità del gruppo.
Le sconfitte ti scalfiscono ed è giusto che sia così. Mi piace vedere che lo spogliatoio sia triste e arrabbiato dopo una qualsiasi sconfitta. Ma questo è un gruppo solido perché ha più di un capitano. Si è creata un’alchimia che ci permette di mantenere sempre un equilibrio interno anche nei momenti difficili e questa è una qualità che dobbiamo tenerci stretta.
Uno dei momenti difficili è stata la sconfitta all’Olimpico con l’Inter: come hai vissuto il sostegno incessante del pubblico in particolare negli ultimi 10 minuti?
Quella è stata l’unica nota positiva della serata. Come tutti i tifosi che erano sugli spalti con me e come i miei compagni ho vissuto male quella brutta sconfitta. Purtroppo quando questo succede bisogna analizzare ogni aspetto per cercare di migliorarsi.
In Conference League la Roma ha vinto il proprio girone e tornerà in campo a marzo già agli ottavi. Ma per arrivare a questo risultato ci sono state anche le due partite con il Bodo. Come vi siete spiegati le difficoltà incontrate? E com’è stato ripartire in particolare dopo la sconfitta in Norvegia?
Tutti qui dentro hanno capito la gravità della sconfitta in Norvegia. Deve rimanerci in testa che non può più succedere. Non si deve perdere, ma se succede non può accadere in quella maniera. Abbiamo fatto un po’ di fatica anche in casa, ma bisogna guardare le cose anche in maniera positiva. Abbiamo vinto il girone, siamo agli ottavi e continuiamo a sognare di arrivare fino in fondo in questa competizione.
L’anno si è chiuso con l’impresa in casa dell’Atalanta e un pizzico di delusione per il pari interno con la Sampdoria.
“Credo che a Bergamo abbiamo acquisito la consapevolezza di poterci confrontare con le squadre che ci precedono in classifica e che vengono da percorsi più consolidati, mentre con la Sampdoria abbiamo perso un’occasione alla nostra portata. Ecco, nel bene e nel male dobbiamo ripartire proprio da queste due sfide e lavorare sodo alla ripresa”.
Quanto è stato sofferto per te seguire l’ultima parte del 2021 da fuori per via dell’infortunio?
“Tanto. Tutti noi vogliamo sempre dare il nostro contributo in ogni partita, aiutare i compagni nel momento di difficoltà e ricevere il loro aiuto quando in difficoltà siamo noi. Purtroppo è andata così. Non ero al meglio da un paio di mesi e poi è arrivato questo infortunio che però mi dà a possibilità di recuperare sia da questo problema, sia da quello che avevo prima. Ho lasciato comunque tutto in buone mani ai miei compagni e spero di poter rientrare al 100% al più presto”.
Quest’anno sono stati cinque i giovani della Primavera che hanno fatto il proprio esordio in prima squadra: che effetto ti fa vederli da capitano a quasi sette anni di distanza dal tuo esordio?
So come stanno vivendo questi momenti essendoci passato anche io. Cerco sempre di aiutarli con una parolina o un consiglio quando vedo qualcosa che potrebbe essere fatta diversamente. In generale, devo dire che tutti i giovani che si affacciano in prima squadra si impegnano e danno il massimo ed è questo quello che chiedo loro.
I giovani devono avere la possibilità di sbagliare ma ciò che non deve mai mancare è l’impegno, così come la concentrazione. Se sono qui con noi non è un caso: è perché se lo meritano, ma devono continuare a meritarselo tutti i giorni.
Il 2021 resterà per te l’anno del rinnovo di contratto, da capitano. Che cosa ha significato e rappresenta per te?
Come ho detto dopo la firma, per me è stata solo una formalità. Con la mente, con la testa, con tutto me stesso sono stato sempre qui e sono orgoglioso di essermi legato alla squadra della mia città. La fascia da capitano per me è una responsabilità da onorare davanti a tutti in partita, ma anche ogni giorno con i miei compagni e con tutte le persone che lavorano a Trigoria. Questo è un impegno che sento molto.