Avvenire (S. Scacchi) – Vincenti, ma poco empatiche. È il paradosso delle proprietà straniere nelcalcio italiano. Lo sbarco massiccio di imprenditori stranieri sta producendo effetti benefici, tenendo conto che porta con se anche la volontà di investire in infrastrutture. Quasi tutte queste proprietà puntano su stadi nuovi, anche se non mancano le difficoltà burocratiche. Andrebbe tutto bene se non fosse che a queste proprietà manca un elemento di calore nel rapporto con il pubblico e con la storia passata di queste società.

La casistica è variegata. L’ultimo episodio eclatante è quello del licenziamento di Paolo Maldini deciso da Gerry Cardinale. Spostandoci alla Roma, a margine della sconfitta in finale di Europa League col Siviglia a Budapest, José Mourinho ha detto di essere stanco di essere sempre solo criticando anche la possibilità della rosa di competere su più fronti. Dichiarazioni che chiamavano chiaramente in causa la famiglia Friedkin.

Non passato inosservato nemmeno il fatto che Dan e Ryan abbiano lasciato piuttosto rapidamente lo stadio senza fornire alcuna dichiarazione dopo una partita così importante. Questo è un altro elemento tipico di queste proprietà americane: parlano pochissimo in pubblico. Quasi mai lo fanno in conferenze stampa con domande erisposte aperte. Al massimo confezionano messaggi registrati tramite canali del club. Una contraddizione abbastanza evidente: provengono da uno dei Paesi teoricamente più trasparenti e comunicativi del mondo, ma sono molto chiuse. A tutti gli appassionati vengono in mente i riti dei presidenti di una volta del nostro calcio. Da oltre Atlantico per il calcio italiano arrivano trofei, investimenti oculati e pochissime parole.