Il calcio che finalmente scende in campo per i rifugiati riempie di gioia

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Calciomercato.com (D. Pastorin) – Finalmente. Dopo tanto tempo. Dopo i cori razzisti, le violenze, l’intolleranza. Il calcio scende in campo per i rifugiati. Con iniziative economiche, con aiuti concreti, tutti insieme: dirigenti, allenatori, calciatori e, soprattutto, tifosi.

Nelle curve, al posto degli striscioni colmi di odio e veleni, ecco apparire: “Welcome Refugees“. Dalla Germania alla Spagna per arrivare all’Italia: non più parole o silenzi, ma fatti. La Roma con il progetto Football Cares, la Fiorentina, la Lega di Serie B, Antonio Conte e la nazionale, la Juventus, che non perde occasione per organizzare partite a favore dei più deboli, dei bambini poveri o malati, il Torino con le iniziative del compianto don Aldo Rabbino.

In questi giorni ho capito che nessuna speranza è persa. Con la Germania e l’Austria che hanno aperto le frontiere, permettendo a molta, moltissima gente di trovare, dopo tanta disperazione e tanta sofferenza, braccia aperte, visi sorridenti, conforto. Ecco i bimbi giocare, ecco le madri serene, ecco i padri non più costretti a subire umiliazioni, offese. Un muro ideale è crollato: l’Europa sta ritrovando i suoi ideali, lo scopo stesso del suo esistere e del suo divenire. Non sono nemici coloro che fuggono dalle guerre, dalla case ridotte in macerie, dalla fame, dal terrore. Il mare Mediterraneo, il nostro mare, è diventato un cimitero infinito. Ma qualcosa sta cambiando. Basta con le paure e i pregiudizi, basta con il vedere nell’altro un nemico. Tedeschi e austriaci ci stanno dicendo: una partita che sembrava impossibile possiamo, tutti insieme, vincerla. L’egoismo ha lasciato posto all’accoglienza. Per me, figlio nipote e pronipote di migranti, tutto questo mi riempie di gioia.

E proprio noi italiani non possiamo perdere memoria e storia, non ricordare le fatiche dei nostri padri e dei nostri nonni e dei nostri bisnonni: quando partivano, schiacciati in terza classe, su quelle navi che andavano verso altri orizzonti, così misteriosi, carichi di angoscia, ma anche di un futuro possibile, di un azzurro che poteva trasformarsi in un color di vicinanza e non di lontananza. Lasciavano la terra dura, la guerra, il dolore, salutavano mamme in lacrime nei porti. Eppure bisognava andare, imparare lingue diversi, usi, abitudini. Bisognava guardare al domani, racchiudendo nel cuore la nostalgia e il rimpianto. Giovanni Arpino disse: “Sottoterra si parla italiano”. No, non vogliamo più vedere bambini morti sulla sabbia, in riva al mare. E anche il calcio, alzando orgogliosamente la testa, sta dando un esempio bellissimo. Portiamo questi colori, questa bellezza in ogni stadio. Dobbiamo stravincere.

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