La Gazzetta dello Sport (A.Frosio) – Al calciatore moderno piace moltissimo la conclusione a giro, diventata classica: molti sono cresciuti avendo negli occhi di bambino le parabole di Alessandro Del Piero, logico e comprensibile volerne replicare il copyright di quella finta a rientrare seguita dal colpo con l’interno del piede per mandare il pallone all’incrocio opposto. Ad alcuni con il piede fatato, tipo Lorenzo Insigne, la cosa riesce anche piuttosto bene, il gol del numero 24 del Napoli lo ha appena confermato. Un ex attaccante di buon livello però di recente ci diceva: «Oggi tutti vogliono calciare a giro, come Zlatan Ibrahimovic. Ma per riuscirci devi avere gli adduttori (cioè i muscoli interni della coscia, ndr) dello svedese». E, facile intuirlo, non tutti ce l’hanno, soprattutto quando la distanza dalla porta si fa consistente. L’ortodossia del manuale calcistico, in questi casi, imporrebbe il molto più classico «collo pieno». E in questo senso Leandro Paredes ha dato una lezione esemplare.
L’EREDE – Il gol al Torino è la perla della giornata perché è un prodigio di tecnica: su un rinvio della difesa granata verso la periferia dell’area di rigore, l’argentino arriva perfettamente bilanciato, blocca la caviglia destra e di controbalzo trasferisce tutto il peso del corpo sul pallone coprendolo e imprimendo una forza tremenda. Solo così la traiettoria resta bassa, rasoterra, imprendibile: difficilissimo far volar via così la palla. L’esempio, Paredes ce l’ha sempre avuto in casa: perché uno specialista del tiro di collo veste da vent’anni la maglia della Roma e se lo chiami Capitano sei sicuro che si gira, un altro indossava la maglia del Boca Juniors e ha assistito da vicino al debutto da professionista del giovane Leandro. Juan Roman Riquelme, ovviamente, un altro che, come Francesco Totti, quando calciava pieno il pallone filava via dritto per dritto. «Riquelme è stato il giocatore che guardavo e che mi piaceva di più. Ed è stato troppo importante per la mia crescita, fondamentale. Mi riempì di consigli all’epoca e ancora oggi ci sentiamo, quando mi guarda giocare mi scrive. Prima di smettere dichiarò a tutti che sarei stato io il suo erede calcistico», ha raccontato Paredes.
VOLANTE – Se l’ha visto stavolta, il messaggino da «papà» orgoglioso sarà arrivato di sicuro. E dopo il siluro al Toro, Paredes può cominciare a pagare le tasse di successione. Anche se nel frattempo il suo raggio d’azione lo ha portato qualche metro più indietro rispetto al «Mudo». Ora porta sulle spalle anche il «5», il tradizionale numero che in Argentina appartiene al «volante», cioè al regista davanti alla difesa. Il nuovo ruolo, che ha fatto da catapulta alla carriera di Paredes, è frutto di un’intuizione di Marco Giampaolo l’anno scorso a Empoli: «Leandro è uno di quei giocatori che semplificano il lavoro dell’allenatore – aveva spiegato il tecnico, oggi alla Sampdoria – tu gli dici di fare una cosa e lui la fa meglio di come l’avevi pensata». Ora, non sappiamo se Spalletti aveva progettato la conclusione da fuori su palla che esce dall’area, di certo era difficile fare meglio di così. Eppure Leandro ci conta: «Il mio gol? La palla mi è rimasta lì e ho dovuto calciare per finire la giocata – ha spiegato a fine partita, come se fosse la cosa più normale del mondo –. È il mio gol più bello da quando sono in Italia, ma spero di farne un altro più bello». E poi il pensiero è volato di nuovo a Juan Roman: «Spero di ritrovarlo presto. Mi ha detto che voleva venire a vedere la Roma, una volta». In Patria, invece, qualcuno ha cominciato a sollecitare il viaggio nella Capitale di Edgardo Bauza, c.t. della Seleccion: i tifosi dell’Albiceleste sono rimasti incantati dalla rete (e dalle prestazioni) di Paredes, ricordando al Paton che, caso mai se lo fosse dimenticato, Leandro è argentino…