Il Tempo (S.Mancinelli) – L’Olimpico di Roma ricorda solo per il nome il monte degli dei da cui era possibile guardare con distacco le disavventure dei poveri mortali. Lo stadio che ospita le più importanti competizioni sportive di calcio, atletica e rugby, per non parlare dei concerti, sorge, a onor del vero, alle pendici di un monte (Monte Mario) ma le disavventure della gente le vive e le sopporta a fatica sulla sua stessa pavimentazione in mosaico sventrata da mille passi e scarsa manutenzione e sulle strade che lo circondano, affollate di macchine una sopra all’altra vista la mancanza di parcheggi. Il traffico e i posteggi inesistenti sono il male del Foro Italico. Così, con i suoi eterni problemi, da settant’anni e mai migliorato. L’evento sportivo più importante, che sia un derby o una partita di Champions, una gara di atletica o un incontro di rugby, comportano in realtà la messa a ferro e fuoco dell’intera area circostante allo stadio. Congestionata, a dirla con eleganza, bombardata, a esser obiettivi, dall’afflusso di tifosi e dai soliti residenti costretti loro malgrado a incolonnarsi.
I mezzi passano poco, corsie preferenziali non le hanno, i parcheggi sono pressoché inesistenti e i taxi sono un miraggio. Nella partita di rugby dell’Italia contro i neozelandesi All Blacks sugli spalti erano in sessantamila. All’uscita tanti, troppi, hanno aspettato ore le auto bianche che non c’erano. Non proprio una bella immagine per i turisti. E, ancor più, un dramma che i cittadini vivono ogni volta da sempre senza una soluzione. Tutto uguale da anni, con i vigili urbani a gestire una massa informe di macchine in fila, con viale Angelico, piazzale Clodio e Ponte Milvio bloccate da migliaia di utilitarie. Letteralmente abbandonate da gente esasperata. Da una parte gli schiavi di una fede calcistica, che per arrivare allo stadio percorrono una mezza maratona senza medaglia all’arrivo. Dall’altra quello che vicino allo stadio abitano e sono costretti a chiudersi in casa per una corsa che nemmeno Pamplona ai tempi d’oro. A Roma, quando si gioca una partita di calcio, si esce da casa quattro ore prima nella speranza di arrivare in tempo per il fischio d’inizio. Non è uno scherzo, né un’esagerazione: semplicemente quanto serve per arrivare a destinazione considerando il traffico, il parcheggio da trovare, la camminata da fare e, niente meno, la fila ai tornelli dove si mostra il biglietto.
Insomma, all’arrivo in tribuna, il tifoso medio è più stanco dell’intera squadra a fine partita. Perché l’Olimpico di Roma ha a che vedere con gli dei soltanto se si considerano le imprecazioni urlate in macchina. E il nuovo stadio, con tutte le complicazioni del caso, va da sé che venga visto come la borraccia in fondo al deserto. Un impianto sportivo lontano dal centro cittadino, con parcheggi in abbondanza e poche abitazioni intorno. I romani che tifano lo aspettano come manna dal cielo, per non parlare di chi vive a Roma Nord e considera lo stadio Olimpico come un vulcano dal quale fuoriescono macchine emotorini impazziti. Domani ci sarà il derby, la Questura deciderà il solito piano di controllo con un tavolo tecnico ad hoc, il reparto mobile sarà schierato per prevenire gli scontri e i vigili urbani proveranno come sempre a scongiurare l’inevitabile “tappo” su via del Foro Italico. Normale amministrazione nella Capitale del traffico e del caos. Pensato e voluto, dopo anni di inutilizzo, per le Olimpiadi del Sessanta, avrebbe potuto aspirare a un ammodernamento per quelle del ‘24. Un’occasione mancata, forse pure per questo. E all’Olimpico di Roma non resta che sperare nella improvvisa voglia dei romani di arrivare allo stadio correndo.