Corriere dello Sport (R.Maida) – La voce di Grillo lo ha fatto sussultare come un grillo. «Ma come è possibile?». Dagli Stati Uniti, James Pallotta si è messo subito in contatto con i suoi collaboratori, Mauro Baldissoni in testa, che gli hanno confermato l’aria tossica che si stava diffondendo attorno al dossier Tor di Valle. Stavolta, purtroppo per lui e di conseguenza per la Roma, non c’entra il degrado della zona che il progetto dello stadio avrebbe bonificato e riqualificato, ma l’ostilità all’investimento che costituisce sin dal principio, dichiaratamente, il core business della proprietà americana.
LA NOTA – Pallotta è andato su tutte le furie perché la settimana scorsa, prima dell’intervento della Sovrintendenza, era stato rassicurato sull’accordo raggiunto in Campidoglio con la giunta Raggi. Ma adesso ha capito che la situazione è cambiata, forse irrimediabilmente. Da qui il doppio tweet pubblicato sull’account della Roma e poi sul sito ufficiale, attraverso il quale Pallotta prende una posizione molto netta: «Ci aspettiamo un esito decisamente positivo dall’incontro in programma venerdì. In caso contrario, sarebbe una catastrofe per il futuro dell’As Roma, del calcio italiano, della città di Roma e francamente per i futuri investimenti in Italia». Poche parole ma tanti significati, che meritano di essere scomposti e analizzati nel dettaglio dopo settimane in cui il presidente della Roma era rimasto in silenzio sull’argomento, proprio per evitare di compromettere le “trattative” istituzionali.
DANNI – Parlando di «catastrofe» per la Roma allude all’impossibilità di crescita del club, che continuerebbe a partire in ritardo sotto il profilo finanziario rispetto alla Juventus e alle altre grandi società straniere. Non basta evidentemente il 15° fatturato d’Europa (218,2 milioni al 30 giugno 2016), destinato peraltro a calare di un terzo in questo bilancio a causa della mancata partecipazione alla Champions League, per competere ai massimi livelli. L’incremento dei ricavi generato dallo stadio era decisivo nel suo piano industriale che prevede un equilibrio basato essenzialmente sull’autofinanziamento. E quando parla dei «futuri investimenti in Italia» apre la porta a qualunque scenario: persino all’eventualità di un addio alla Roma, finora sempre smentito con forza nonostante le voci provenienti da più parti nel panorama finanziario internazionale. Non è un mistero che Pallotta sia sempre stato vigile nella ricerca di sponsor, se non di azionisti di minoranza che potessero accrescere il potenziale del club. Ma se lo stop alla costruzione dello stadio dimostra l’impossibilità (o l’enorme difficoltà) di investire in Italia, è evidente che qualche dubbio sulla convenienza di mantenere il controllo della Roma a Pallotta sia venuto.
CROCEVIA – A questo punto non resta che aspettare domani, quando la Roma e il costruttore Parnasi saranno (se non cambia qualcosa) ricevuti di nuovo dal Comune. A ridosso della scadenza del 3 marzo, giorno in cui dovrebbe chiudersi la conferenza dei servizi della Regione, non c’è più tempo per i tatticismi. E Pallotta lo ha capito, avvertendo in anticipo i tifosi e gli interlocutori. Se il dossier Tor Di Valle venisse davvero cestinato, al di là delle cause miliardarie che la Roma minaccia, difficilmente si ripartirà da zero con un altro progetto in un’altra area. Pallotta, che ha in programma un viaggio romano per il 16 marzo, circa sei mesi dopo l’ultima visita, alzerebbe le mani, rassegnato. Cosa accadrebbe a quel punto? E’ presto per valutare. Perché la Roma venga venduta, occorre che esista un compratore disposto a soddisfare le richieste del proprietario. Di sicuro ci sarebbe un ridimensionamento della società. Se non nelle risorse immediate, almeno nelle aspettative.