La Gazzetta dello Sport (C. Zucchelli) – L’Olimpico, ma anche Campo Testaccio, il Flaminio e il Motovelodromo Appio. Da sempre la storia della Roma è stata anche la storia degli impianti in cui la squadra è scesa in campo.
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Dino Viola sognava di costruirlo alla Magliana: “È una prova d’amore verso la città“, le parole del presidente del secondo scudetto nel 1987. La storia poi è nota, tra politica che si mette di traverso e schermaglie con le istituzioni. Franco Sensi aveva lo stesso obiettivo, ma fu sua figlia Rosella a provarci con un progetto tanto affascinante nelle intenzioni quanto fumoso: era il settembre del 2009, ma l’iter non partì mai.
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È partito eccome, invece, il percorso voluto da Pallotta: tutto è iniziato nel 2012 quando a capo c’era Mark Pannes, poi sostituito da Baldissoni. Ieri lo stop dei Friedkin, che hanno spiegato la loro decisione, non apprezzata da Pallotta: “Mi sento malissimo per la Roma e la città di Roma, avremmo investito più di 200 milioni in infrastrutture. Pochi stupidi hanno rovinato un grande progetto“. A chi si riferisse James Pallotta non è però chiaro.
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Ora si ricomincia da capo, con una certezza: la gente, i tifosi, saranno considerati come tali e non come clienti. Era quello che volevano Viola e Sensi ed era quello che si respirava al mitico Campo Testaccio o nell’anno del Flaminio, con gli spalti attaccati al campo. Perché a Roma lo stadio ha sempre rappresentato una sorta di luogo dell’anima. A Dan e Ryan Friedkin il compito di coniugare questo con modernità ed efficienza.