Per un’intera generazione di tifosi Roma-Dundee United è la partita più bella della storia della Roma. Sicuramente la più tifata, con uno stadio da far commuovere anche a rivederlo oggi. Sicuramente quella più importante vinta: semifinale di ritorno della Coppa dei Campioni per Club d’Europa. Sicuramente e soprattutto la più attesa: c’è stata un’intera città che ha atteso, sognato, sperato, sbuffato, contato giorni, minuti, secondi dall’andata persa incredibilmente 2-0 in Scozia a quel 25 aprile di liberazione da un’altra prigionia del sogno. Di un sogno che aveva un appuntamento con la realtà il 30 maggio nella finalissima di Roma.
Roma-Dundee United è stata la nostra finale di Coppa dei Campioni, soprattutto dopo lo 0-2 al Tannadice Park per noi quella era l’impresa da fare, rimontare due gol senza prenderne nessuno in un’epoca in cui il gol era raro come il petrolio e necessario come il pane, in un’epoca in cui – se possibile – i gol segnati in trasferta valevano più del doppio. Era un’impresa, era una finale e tutta Roma rispose presente. Un ritorno da paradiso. Un ritorno in paradiso.
I ragazzini che facevano tre con le dita della mano, gli sbandieratori del Commando il sole, Falcao, Falcao che all’andata non c’era e che tutto un popolo aspettava in campo. Quando entrò la Roma il primo coro fu proprio per Lui: “Falcao! Falcao! Falcao!”. Una specie di preghiera laica come ad appellarsi al nostro Divino. La Roma in campo fu persino più bella e più grande. Il gol annullato a Bruno Conti, la doppietta di Pruzzo mai così Bomber, mai così grande, mai così necessario, il rigore realizzato da Agostino Di Bartolomei perché era giusto che quella finale, la finale delle finali, la prendesse il Capitano. Quel Capitano. Un altro gol annullato a Conti, l’ammonizione da squalifica a Maldera di Vautrot, la gioia esplosiva e di rivincita di Nela… Sono tutte immagini che ogni romanista ha dentro. E non se andranno mai.
(asroma.it – T. Cagnucci)