La Repubblica (E. Sisti) – Sinisa è uscito dal campo sconfitto dopo aver lottato. Non è nemmeno passato dagli spogliatoi. E nemmeno da casa. Se n’è andato. Con la sua dignità immacolata. Tre anni di malattia. Sembrava aver rivisto un po’ di luce. E invece è arrivata quella maledetta punizione contro, che lui non avrebbe mai potuto calciare. Se l’aspettava, Sinisa? Forse. E allora ciao Sinisa, campione per tutti.
Sei morto a Roma. A Roma avevi giocato due volte, a Roma avevi conosciuto tua moglie. Alla Roma eri arrivato nel ’92 grazie allo sforzo economico di Giuseppe Ciarrapico, che per te spese quasi nove miliardi di lire. Avevi un cespuglio di capelli in testa e le stimmate del talento slavo. Ma con un po’ di energia in più nei muscoli.
Eri destinato alla Juventus e forse anche per questo della Roma non conservasti un buon ricordo. Quando dopo due anni in giallorosso passasti alla Sampdoria, era chiaro come il sole che avevi il dente avvelenato. Quel boccone amaro in bocca ti rimase a lungo.
I tuoi calci di punizione sono diventati un modello di estetica della potenza. Hai segnato 28 punizioni in serie A. Solo Pirlo come te. Non a caso, l’unica rete in campionato realizzata con la Roma, quand’eri ancora un diamante grezzo, arrivò con una punizione. Era il 28 marzo del ’93, a Brescia. In quel giorno debuttò un sedicenne che la cronaca tv nemmeno calcolò. E fosti tu a dire a Boskov: “Fai esordire Totti!”. Quando arrivasti alla Lazio fu una specie di vendetta perfetta. Ti ci volle lo spazio di due allenamenti per diventare uno dei leader di quella meravigliosa macchina che vinse scudetto e Coppa delle Coppe.
Magari sognavi di allenare un giorno la tua Lazio. Però non t’è mai riuscito. Il paradosso è che ad un certo punto ti accostarono alla panchina della Roma. Ma, di nuovo, cosa cambia adesso? Vogliamo ricordarti come in una figurina. Giovane, sorridente e spensierato. Come forse sei stato dentro. Almeno per un po’.