Il Messaggero (A. Angeloni) – Il paradosso è servito: José Mourinho, storicamente tecnico abile a gestire calciatori già fatti, a Roma sta allevando ragazzi di diciotto, diciannove anni, molto buoni per il futuro e poco per l’immediato.
Perché, se è vero che al club fa comodo la valorizzazione dei suoi piccoli asset, è altresì vero che i piani tecnici erano ben diversi, avendo scelto lo Special. Il traguardo Champions era la stella polare, o almeno doveva esserlo e la Roma ora si ritrova a sperare di rigiocare la Conference, visto che è scesa all’ottavo posto: i soldi della grande Europa prima di tutto, per ripartire in grande stile.
Ma la Roma, oggi, non è una squadra per vecchi, che pian piano si sono smarriti per strada, troppo spesso con l’etichetta dei non adatti, compresi gli arrivi dal mercato, estivo e invernale, a parte Abraham e Rui Patricio (in calo anche lui), gli altri non stanno convincendo granché.
Per questo, a giugno partirà una nuova rivoluzione. Mourinho si è affidato all’esperienza di Rui Patricio, a Smalling e Mkhitaryan, i tre che sono oltre i trent’anni, invece ci si avvicinano solo El Shaarawy e Oliveira, ha scelto Pellegrini come guida, ma il capitano ha risposto presente a inizio stagione poi si è arreso davanti agli infortuni. I risultati dicono che il lavoro svolto fino a ora è un flop e tanti calciatori sono finiti altrove, titolari lo scorso anno, come Villar e a tratti anche Mayoral.
Ciò che conforta è, appunto, il lavoro fatto con i ragazzi, che sono saliti alla ribalta più per inerzia che per una programmazione pensata. Mourinho ne ha messi dentro tanti, cominciando dal lavoro svolto in estate, ma non prevedeva di doverli utilizzare e addirittura che alcuni di loro sarebbero stati decisivi.