Cita Nils Liedholm, per dire che il campione si riconosce dal rumore che produce al tocco del pallone, anche da bambino. Volfango Patarca, una vita alla Lazio da responsabile del settore giovanile, giura su Gianmarco Nesta, classe 2000, un cognome ingombrante, quello dello zio Alessandro (che a due mesi dalla nascita del nipote vinceva il tricolore nella Capitale…) e una storia bizzarra: dodici mesi fa ha effettuato uno stage organizzato dalla Lazio, quest’anno vestirà la maglia della Roma. (…)
Da dove proviene questa certezza?
«Dal fatto che l’ho visto crescere e ancora non so dire se sia destro o mancino. Calcia con una coordinazione straordinaria, è un attaccante esterno veloce e resistente. E negli allenamenti ha la rabbia dei grandi».
Lo zio Sandro non è riuscito a trasmettergli il mestiere del difensore…
«Il piccolo ha il dribbling di Di Canio e il tiro di Di Vaio. E non ho fatto due nomi a caso, avendoli allenati alla stessa età di Gianmarco. Ma lui può diventare più forte. Quanto al Nesta senior, gli va riconosciuto di non essersi mai intromesso. Salvo averlo portato una volta a Milanello: mi tornò con i giochi di prestigio di Ronaldinho…».
Cos’è, istinto, capacità di apprendimento, doti innate?
«Un po’ tutto. Io l’ho abituato a stare sempre con il pallone fra i piedi, un metodo che ad un certo punto sembrava stesse andando in disuso. Del resto Liedholm diceva che i campioni li riconosci dal rumore che fanno quando toccano la sfera, vale lo stesso per i più piccini».
Non ha paura che tanta pubblicità possa essere dannosa?
«No, perchè ora con Bruno Conti è in ottime mani. Ha l’età giusta per passare in un grande club come la Roma. La scelta dei giallorossi mi rende orgoglioso, loro hanno sempre fatto un ottimo lavoro con il settore giovanile, ma recandomi a Trigoria ho notato che con il cambio di proprietà si è dato nuovo impulso al settore».
Perchè la Roma e non la Lazio?
«Dovreste chiederlo ad altri. Gianmarco giocava con me, nella Pro Calcio Sabina, la squadra di Fernando Nesta (il fratello di Alessandro). Lo portai la scorsa estate a Soriano nel Cimino, per uno stage organizzato dai biancocelesti. Si comportò bene, ma evidentemente non hanno creduto in lui. Ho perfino chiamato la Lazio, ma non sono mai riuscito a mettermi in contatto e nessuno mi ha mai richiamato. Del resto io per loro sembra che non esista più, dopo venticinque anni di servizio…».
Immaginiamo che non si sia lasciato bene con la società di Lotito.
«Fareste meglio a chiedere al presidente. Con Cragnotti portammo avanti alla grande il settore giovanile, da Nesta a Di Vaio, non si contano i ragazzi che abbiamo lanciato. Il mio allontanamento, nel 2004, ha dell’assurdo».
Così si spiega anche il passaggio di Nesta junior alla Roma?
«A dire il vero è stato direttamente Conti a contattarci. Lui e Sabatini difficilmente si fanno sfuggire certi talenti. La Roma ora è in grado di prendere gli stessi ragazzi del Barça e dell’Ajax».
Non crede che in Italia sia ci si rivolga troppo spesso all’estero?
«C’è da vergognarsi di questo, la Figc dovrebbe vigilare e tentare di porre rimedio. Ci si nasconde troppo dietro ai prezzi alti che sono affissi in Italia, ma la verità è un’altra. Il nostro Paese pullula di ragazzi interessanti, forse aveva ragione Zeman quando ipotizzava che fuori dai nostri confini sia più facile far circolare i soldi…».
Corriere dello Sport – Simone Di Segni