La Gazzetta dello Sport (M.Iaria) – È ancora presto per sapere se produrrà un terremoto oppure no, di certo l’inchiesta milanese penetra nel cuore del sistema di interessi e di potere del calcio italiano. Perché Infront, la società di sport marketing presieduta in Italia da Marco Bogarelli, ha un ruolo-chiave in questo mondo, in un intreccio inestricabile tra affari e politica sportiva. Ed è l’interfaccia commerciale del governo del pallone che si è andato delineando negli ultimi anni, da quando cioè la Lega Serie A è finita in mano all’asse Galliani-Lotito.
SVOLTA – Rotta la storica dicotomia grandi-piccole, dopo i furiosi litigi per spartirsi i soldi delle tv gestiti collettivamente dal 2010, in via Rosellini si è assistito alla rivincita dei lillipuziani: l’a.d. del Milan ha fiutato lo spirito del tempo ed è sceso a patti col patron della Lazio, alfiere della cordata delle medio-piccole, e da quel momento gli equilibri sono mutati per sempre. Ne è stata una prova plastica la riconferma del presidente Beretta nel gennaio 2013, con Roma e Juventus sconfitte e all’opposizione. Nel frattempo la maggioranza si è arricchita della presenza di un’altra big come l’Inter e nell’estate 2014 la Serie A ha potuto cavalcare l’elezione in Figc di Tavecchio, che già di suo contava sul bacino dei Dilettanti.
Quel patto di sangue stretto tra le leghe (pure B e Lega Pro, salvo alcune defezioni, votarono per l’attuale numero uno federale) si è retto su logiche eminentemente economiche. Proprio come in Serie A. Perché qui una cosa dev’essere chiara: se Infront ha assunto così tanto potere in Italia è perché ha colmato un vuoto che le società hanno lasciato libero. Negli anni della bolla dei diritti televisivi, il cui valore per la Serie A è schizzato dai 725 milioni del 2009-10 (ultima stagione di vendita individuale) agli 1,2 miliardi dell’attuale triennio, Infront ha ottenuto, da advisor della Lega, il consenso della maggioranza a suon di minimi garantiti, allungando i tentacoli anche ad altri business.
FINANZIATORE – Sì perché nel frattempo Bogarelli si è allargato e ha finito per gestire il marketing di una decina di club di A (e del Bari) e i diritti d’archivio di 15 società su 20 del massimo campionato. Parliamo di 100-150 milioni di impegno finanziario annuo a favore delle squadre, che si somma al minimo garantito da 980 milioni a stagione per i diritti tv collettivi. Inciso: Infront non fa beneficenza, visto che ogni anno produce profitti (3,5 milioni nel 2014). Insomma, il meccanismo regge. Aldo Spinelli, presidente del Livorno, spiega: «Infront ha fatto una buona campagna per le squadre di calcio, avendo aumentato i ricavi». Il patron di una provinciale di A, che preferisce rimanere anonimo, chiarisce il concetto: «C’è la crisi e la liquidità scarseggia soprattutto per le medio-piccole. L’attuale maggioranza è tenuta insieme da esigenze economiche. Se poi c’è qualcuno più bravo di Infront in grado di garantirci più soldi, ben venga».
È un ragionamento che si può allargare all’area professionistica. Ed è la spiegazione del patto pro-Tavecchio di cui sopra: se aumentano i diritti della A, aumenta pure la mutualità verso il sistema, quindi tutti possono guadagnarci. Ecco perché, se crolla Infront rischia di crollare l’intero castello.