La Repubblica (E. Sisti) – Che si scelga il primo, il secondo, il terzo o il quarto verso della prima strofa, le parole della canzone di Battisti vanno comunque bene per questo secondo viaggio a Bodø. Non sarà un’avventura? Non può essere soltanto una primavera. Questo amore non è una stella. Che al mattino se ne va. Allora, ricapitoliamo. Non deve essere un’avventura, tanto più che la Roma ha già rimediato un 6-1 sul sintetico di Norvegia. Non deve essere soltanto una primavera. Ma più d’una. L’amore per la squadra non è mai stata una stella che al mattino se ne va.
E ha ragione Mourinho quando dice di voler vincere per chi non l’ha mai fatto. Sia chiaro: nel calcio di alto livello l’80% dei giocatori non ha mai vinto un tubo. Nel concreto, il verbo non esiste da troppo tempo. Fermo restando che nemmeno in Conference League sono previste passeggiate di salute, la Roma deve puntare ad alzare un trofeo. Non importa che sia piccolo. Anche la Roma è piccola. Ma può arrivare sino in fondo, a patto di non accampare scuse durante il percorso, il freddo, le distanze, la partita di giovedì, il Var che non c’è (ci sarà in finale), l’erba sintetica e la malasorte che è sempre dietro l’angolo sotto forma di alibi incappucciato da ostentare al bisogno.
Le rivali possono ingigantirsi di colpo. A cominciare dai norvegesi di stasera per arrivare ai possibili competitor in semifinale, il Leicester o il Psv, il Marsiglia o il Paok, il Feyenoord o lo Slavia Praga (cui sono legati tristi ricordi). Ma dipende dalla Roma. Forte del 6-1 subito ad ottobre, il carattere della squadra, che non è mai stato un vanto, potrebbe addirittura beneficiare della scoppola da cui emerse Botheim, il calciatore che pesò (tripletta) e che il Bodø ha in seguito usato per fare cassa (prima faceva casa) cedendolo al Krasnodar, Russia. La Roma dovrà evitare di lasciare in mano all’avversario le sue armi migliori: la fisicità combinata con l’abitudine al sintetico. Onestamente appare difficile che si torni a Trigoria con un altro pesante passivo.