Nati il 7 giugno – Chi pensa che Roma-Juventus sia una classica del calcio nostrano, più che essere in errore, ha il grande privilegio di essere giovane. Prima dell’arrivo del trio delle meraviglie, il Presidente Dino Viola (il più grande di sempre), il Barone Nils Liedholm, il Divino Paulo Roberto Falcao, infatti, per la società controllata da un secolo dalla dinastia Agnelli, la squadra della Capitale – l’unica, se ne facciano una ragione quelli con competenza territoriale presso il Tribunale di Tivoli – era terreno di scorribande, con regolare prelievo dei migliori calciatori giallorossi.
A parte il mai dimenticato 5 a 0 del 1930, da cui venne tratto un film, e l’anno dello scudetto del 41-42, da Roma venivano prelevati i Menichelli, i Lojodice, i Capello-Landini-Spinosi in un colpo solo; mentre il percorso inverso veniva effettuato da calciatori che, a Torino, davano per finiti, come Nicolé, Charles, Del Sol, Zigoni, Bob Vieri (il papà di Bobo). Per ironia della sorte, il primo sussulto di resistenza allo strapotere juventino, lo realizzò Luciano Moggi, quando, nell’ultimo anno della presidenza Anzalone, riuscì a portare a Roma il bomber Pruzzo, desiderio dei bianconeri.
Quell’anno fu dura, non vi sto a raccontare cosa accadde alla penultima giornata contro l’Atalanta e la domenica successiva ad Ascoli, ma, dal campionato successivo cambiò tutto. Primo anno di assestamento e poi fu “ERGO’DETURONE”, tutto attaccato ed in dialetto. Da quella segnalazione errata dell’assistente-guardalinee Sancini, fatta propria dall’arbitro Bergamo (Paolo Bergamo, chi era costui?) nacque una rivalità che noi coltiviamo con rancore, mentre i sabaudi trattano con la spocchia di chi sa perfettamente che, in un modo o nell’altro, le cose si sistemeranno a loro favore. A quel torto ingiusto – chi lo nega può essere solo juventino, forte del potere da cui è supportato – seguirono i calci al Presidente Viola senza che nessuno degli “Stilisti” lo difendesse, la partita col Lecce, gli strani tesseramenti di Ferrara e Paulo Sousa, le denunce di Zeman, il mancato rigore su Gautieri, il fallo laterale di Aldair, quello di Morganti, le dichiarazioni forti del Presidente Franco Sensi, il 5 ottobre, calciopoli e chi più ne ha, più ne metta.
Per questo, quando la Presidentessa Rosella Sensi accettò quel caffè in Campidoglio con Veltroni e Giraudo, valutando anche l’ingaggio di persone vicine a Moggi – diventato nemico giurato per noi tifosi – perse definitivamente l’affetto e la simpatia della stragrande percentuale dei sostenitori, abituati a perdere, ma mai a piegare il capo. Forse avrò divagato, ma come tutti i vecchi ho memoria retrograda e mi piace portare i fatti a conoscenza dei miei 14 lettori (la scorsa settimana erano 3, ma mio genero ha tenuto a comunicarmi che mi leggono anche lui ed alcuni amici) per introdurre quest’ultimo scontro all’Allianz.
La Roma ha fatto la partita dal primo minuto al fischio finale di Orsato – un arbitro con cui la Juventus non perde da cinque anni e mezzo, che ha negato un clamoroso rigore su Villar ed ha riso sul gesto di Ronaldo: permaloso come è il fischietto di Schio, avrebbe ammonito qualsiasi altro giocatore al mondo, invece di riderci sopra -, ha costretto la Juve a difendersi, eppure il risultato non fa una piega. Come al solito, non sono d’accordo con le disamine dei giornali, né con le loro pagelle, chiaramente influenzate dal risultato, però è certo che il campione portoghese ha toccato tre palloni, un gol, una traversa ed un grande intervento di Pau Lopez, mentre la sua sola presenza è stata sufficiente per provocare l’autorete.
Questa la vera sintesi della partita: la Juventus non ha fatto niente, ma schierava Cristiano Ronaldo; la Roma non lo aveva. Però, ribadendo un concetto già espresso, non siamo partiti per vincere il titolo mentre, a buon diritto, siamo in lotta per un posto in Champions.
PS Speravo che, dopo un eccellente articolo di Pippo Russo sul Domani, altri sviluppassero le possibili conseguenze delle plusvalenze creative. Invece silenzio assoluto, al pari di quanto accaduto con la decisione di procrastinare il termine per il pagamento degli stipendi e dei relativo oneri fiscali e sociali. Un sospetto diventa lecito: fino a quando le difficoltà economiche riguardavano società della serie C, inflessibili e punti di penalizzazione come se piovessero; ora che sono le società della massima serie a non poter pagare, si spostano i termini. Tutto regolare o si è creata una incredibile disparità di trattamento sanzionatorio?