Non la presero benissimo, nel 2004, i sostenitori dell’Arsenal, quando sul campanello di casa comparve il nome della Fly Emirates: lo stadio intitolato ad uno sponsor, dove sta andando il calcio? Avrebbero preferito onorare la memoria di Herbert Chapman, l’allenatore che li portò negli anni ‘30 al vertice del calcio inglese, o addirittura celebrare in vita il mito di Arsene Wenger: non sapevano, non capivano, che i loro proprietari stavano compiendo un inevitabile passo verso il futuro. Si chiamano naming rights, cederli a una multinazionale significa iniettare nelle casse di un club un bel gruzzolo. La compagnia aerea versò 112 milioni di euro per garantirsi il diritto a griffare l’impianto dell’Arsenal. (…)
Il 2011, grazie alla Juve, è stato l’anno zero del calcio italiano sui naming rights, anche se l’operazione non è stata ancora conclusa: poco importa ai bianconeri, se il loro tempio si chiami ancora Juventus Stadium, visto che l’assegno della Sportfive – l’agenzia che ha acquisito il diritto, ma che non lo ha ancora ceduto a sua volta – viene regolarmente incassato. A Torino possono contare su 75 milioni in dodici anni (…)
E pensare che perfino loro, i paperoni del petrolio, si sono precipitati ad approfittare dell’opportunità: la scorsa estate hanno concesso all’Etihad Airways di scalzare la vecchia targa del Ciy of Manchester Stadium per dieci anni, al modico prezzo di 168 milioni di euro. Un record. (…) Il meccanismo è consolidato nello sport americano, in Europa è la Germania il Paese che sfrutta maggiormente la vendita dei diritti (…) La Roma è già a lavoro per consentire a uno sponsor internazionale di autografare lo stadio che verrà.
Corriere dello Sport – Simone Di Segni