Corriere della Sera (A.Trocino) – La svolta è arrivata nel confronto con i consiglieri comunali. Beppe Grillo ha sondato il terreno, discusso, provato a spiegare che è finito il tempo dei meet up e dell’uno contro uno e che il realismo di governo prevede che decidano in pochi. Ma le risposte non sono state incoraggianti. Grillo in Campidoglio ha trovato scetticismo, critiche aperte e contrarietà diffusa. E così ha deciso: non si può andare avanti, meglio far saltare il nuovo stadio. Non è mai rimasto tanto a lungo a Roma, Grillo, nel suo bunker di lusso dell’hotel Forum. Non ha mai incontrato tanti parlamentari, consiglieri, tecnici a 5 Stelle. Segno che il momento è difficile, che non si può sbagliare una mano in una partita tanto importante. Rinchiuso nel suo studio, con uno stuolo di legali e di architetti, ha esaminato a lungo il progetto per la costruzione del nuovo stadio. L’esito che ha avuto dai periti di fiducia è che il rischio idrogeologico c’è. È vero che nel progetto è previsto, insieme a una serie di rimedi tecnologici, ma l’entità sarebbe di gran lunga superiore a quella ipotizzata. Di fronte all’esito delle ricerche, Grillo è sbottato: «Ma siamo pazzi? Non possiamo mettere in piedi un progetto con il rischio che poi tra due anni qualcosa non funzioni e si inondi tutto». Parole che erano echeggiate, in forma ironica, nel pomeriggio, quando aveva scherzato: «Facciamone due di stadi, uno sott’acqua e uno sopra, con le palafitte».
A quel punto, Grillo ha fatto i conti ed è arrivato fino a tre. Primo: i consiglieri comunali sono contrari e la Raggi, se decidesse di portare il progetto in Aula, potrebbe subire una bocciatura clamorosa. Secondo, la Soprintendenza ha messo un vincolo che magari sarà anche superabile, ma è comunque un elemento non indifferente. Terzo: il rischio idrogeologico c’è ed è pesante. Tutto sommato, quindi, meglio rinunciare. Solo che rinunciare tout court, vorrebbe dire attirarsi l’accusa di dire sempre e solo dei no. E qui arriva l’idea: diciamo no a Tor di Valle ma diciamo sì allo stadio. Dove? Altrove. A quel punto le conseguenze previste sono due. La prima è che la Roma Calcio la prenderà malissimo, dicendo no allo spostamento. E a quel punto, il Movimento potrà dare la colpa a James Pallotta e Luca Parnasi. Ulteriore conseguenza: accertata l’impossibilità di costruire lo stadio a Tor di Valle e ottenuto il no allo spostamento altrove dalla Roma, il Movimento si riterrà esentato dal rischio di dover pagare le salatissime penali previste per il mancato rispetto della delibera approvata dalla giunta Marino. Se tutto filerà nel verso giusto, lo si vedrà solo nei prossimi giorni. Nel frattempo Grillo, lancia un altro fronte e un altro diversivo. Chiedendo, via blog, soldi e una legge per Roma. Come hanno fatto decine di sindaci romani negli scorsi decenni. L’ultimo a pensare a una spending review, un po’ all’amatriciana, fu Ernesto Nathan, nel 1907, quando pronunciò la celebre battuta: «Nun c’è trippa pe’ gatti». Annunciando così di tagliare dalle spese le frattaglie per nutrire i felini, visti i bilanci disastrati. Dalla terrazza romana, Grillo si accoda, nelle vesti di sindaco virtuale di Roma, e chiede alla Regione, allo Stato e perfino a papa Bergoglio («dai una mano, paga l’Imu») di contribuire alle casse della città. Perché «Roma è una bomba atomica che sta per esplodere»: «Tutte le Capitali del mondo hanno una legislazione e finanziamenti privilegiati». E i romani, dice, «si devono caricare il 30 per cento dei 15 miliardi di debito». Lo Stato, e i cittadini italiani, fanno il resto, versando almeno 500 milioni di euro all’anno dal 2009