José Mourinho torna a rilasciare un’intervista dopo 40 giorni senza dichiarazioni. Queste le parole dello Special One, ai canali ufficiali del club:
Mister, sabato sera si è chiuso il precampionato della Roma e siamo entrati nella settimana che segna l’inizio degli impegni ufficiali: che bilancio può fare di questi primi quaranta giorni di lavoro?
Tanto lavoro! Sono molto contento, veramente. Sono state settimane dove abbiamo lavorato tanto, ma fa piacere quando hai tanta gente che vuole lavorare, che vuole migliorare, che ha grande motivazione, che ha voglia di fare bene. E non parlo semplicemente dei giocatori, parlo di tutti quelli che hanno fatto parte di questo pre-campionato. La temperatura, come sappiamo tutti, è difficile, le condizioni climatiche per lavorare sono difficili, ma abbiamo lavorato per migliorare fisicamente, per migliorare tatticamente e imparare a lavorare come squadra. Allo stesso tempo parliamo anche di lavoro per l’organizzazione dei diversi dipartimenti interni al club, intorno alla squadra. Senza dimenticare, ovviamente, un mercato super super difficile e il tanto tanto lavoro che c’è stato per il direttore Tiago, per gli scout, ovviamente per la proprietà, con decisioni difficili da prendere. Dopo tanto lavoro, però, adesso arriva il momento che piace a tutti, perché anche se io sono uno che dice sempre “non mi piace la parola amichevoli”, le partite sono partite, e abbiamo cercato di prendere esattamente questo come una motivazione per tutti, la verità è che per i tre punti si gioca domenica contro la Fiorentina e ancora più difficile che giocare per i tre punti è giocare a “knockout”: iniziamo giovedì in Turchia e questa è la pressione positiva che voglio io, che vogliono i giocatori e sicuramente anche i tifosi si divertono molto di più con partite vere, come mi piace chiamarle.
Partiamo dagli allenamenti: pochi giorni di riposo, allenamenti ad alta intensità. A giudicare dai suoi post, è sembrato molto soddisfatto del lavoro del gruppo. Quanto le piace guidare questo gruppo? Sembra davvero molto, è così?
Mi piace tanto. Non posso dire molto di più, mi piace tanto. Però penso che anche l’organizzazione del lavoro sia piaciuta a tutti. Di solito abbiamo lavorato, come hai detto tu, ad alta intensità, perché è così la nostra filosofia, è così che capiamo il lavoro, alla fine tu giochi come ti alleni e si può anche dire tu ti alleni come giochi. E vogliamo giocare ovviamente con intensità. Abbiamo fatto questo ogni giorno. Però c’è anche un lavoro un po’ più invisibile, più difficile da capire, principalmente per voi da fuori, che è stato anche un lavoro in palestra, di prevenzione, di recupero. Ci siamo sempre preoccupati di cercare di trovare una direzione, con delle belle sensazioni, e abbiamo tanta gente che sta lavorando assieme ai giocatori: i preparatori atletici, gli sport science, il dipartimento medico, gente che sta lavorando con grande dedicazione. Abbiamo un rapporto molto buono a livello di programmazione delle sedute di allenamento. E penso che anche i giocatori sentano questo. Il lavoro è duro, ma allo stesso tempo sentono questa organizzazione dietro di loro e per loro, credo io, che hanno questa sensazione di poter andare fino in fondo e di poter lavorare intensamente, perché tutto è sotto controllo.
Quanto è stato importante poi, in Portogallo, vivere così a stretto contatto per la squadra?
I quindici giorni qui a Trigoria, più o meno, sono stati buoni per iniziare un primo contatto, affinché io conoscessi loro e loro conoscessero me. Qui siamo stati insieme per qualche giorno, non solamente per allenarci: siamo rimasti qui anche a cena, qualche giorno anche a dormire, esattamente per accelerare quel processo lì. Ma il Portogallo è stato fondamentale. Non lo dico perché è la mia casa, non perché sia il Portogallo, ma per il fatto che la squadra è stata insieme 24 ore su 24, praticamente due settimane. E lì si capisce tanto. Credo che dal Portogallo siamo andati via migliorati come squadra dal punto di vista tecnico-tattico, però principalmente migliorati come gruppo, grazie a una conoscenza più profonda. E questo è fondamentale, perché alla fine questa è la famiglia. Se arriveremo alla fine del campionato, ci renderemo conto che saremo stati più tempo con questa famiglia che con la famiglia di casa, di sangue. E dobbiamo sentirci, come credo che ci sentiamo in questo momento: la squadra è veramente unita.
Con lei è arrivato un nuovo staff, che si sta integrando con i collaboratori già presenti, a più livelli: quanto è stato importante il contributo dello staff in questo primo periodo della stagione?
Da solo è difficile. Mi piace gente che ha delle capacità, però che ha anche delle motivazioni grandi per lavorare insieme. Nel calcio sembra che ogni allenatore che arriva, arrivi in pullman e con un pullman pieno di collaboratori: noi siamo arrivati in una piccola Hyundai, perché siamo pochi. Siamo pochi, però adesso siamo tanti. E siamo tanti perché abbiamo preso gente “di casa”, gente con capacità, gente con voglia di imparare, non dico imparare in senso assoluto, dico imparare a lavorare con me, che è una cosa diversa. Abbiamo dato l’opportunità anche a gente giovane del settore giovanile – un preparatore che dalla Primavera si è unito alla prima squadra – perché è questo il nostro modo di lavorare. Non mi piace dire “ho bisogno di prendere 12-15 persone in più”, no, ho bisogno di prendere uno di ogni dipartimento che mi può aiutare a implementare una filosofia di lavoro. Però dopo esiste sempre gente all’interno del club, gente con capacità, gente che merita un’opportunità. Abbiamo fatto questo e sono veramente felice, perché oggi non posso dire “il mio staff di cinque collaboratori” – questo staff infatti non esiste più – oggi esiste il mio staff con 20 collaboratori. E come squadra, anche noi, sentiamo questa unità e penso sia molto importante per noi, come staff tecnico, ma anche per il club, perché un giorno sarà la Roma senza José e quando questo giorno arriverà, vogliamo lasciare quello che facciamo sempre in ogni club, vale a dire una struttura super organizzata, in grado di dare seguito a un lavoro. Però speriamo che la Roma senza Josè non sia presto, speriamo che sarà tra tanti anni.
Prima ha parlato delle amichevoli. Sicuramente sono arrivate delle indicazioni: cosa l’ha convinta e in che cosa si aspetta dei miglioramenti da parte della squadra?
Amichevoli per te, non per noi (sorride, ndr). Non abbiamo fatto delle amichevoli, però in effetti abbiamo iniziato qui con qualche squadra ovviamente di una serie diversa dalla nostra – Serie B, Serie C – e in questo caso è stato più per la continuità con le sedute di allenamento. In Portogallo abbiamo trovato già delle squadre di Champions League, perché Porto e Siviglia sono due squadre che giocano la Champions, due squadre di un livello altissimo: e già quelle due partite sono state importanti. Dal punto di vista dell’organizzazione difensiva, siamo andati molto molto bene – abbiamo subito un gol contro il Porto al novantesimo – con la squadra organizzata molto bene, per seguire i principi sui quali abbiamo lavorato. In fase di possesso palla abbiamo capito che c’è tanto ancora da migliorare: voglio più controllo nel gioco, voglio più intensità nell’uscita in transizione. Anche da un punto di vista del posizionamento, stiamo preparando la squadra per giocare in un modo diverso rispetto a quello che facevano negli anni precedenti. Ovviamente c’è bisogno di tempo, però siamo migliorati tanto. Dal punto di vista emozionale, emotivo, competitivo, la squadra mi è piaciuto tanto. Porto e Siviglia sono due squadre aggressive, sono due squadre difficili con cui giocare. Quella piccola rissa contro il Porto mi è piaciuta tanto, in termini di controllo delle emozioni, non è successo niente di particolare che possa andare dal cartellino giallo al rosso, semplicemente è stata una partita molto molto buona dal punto di vista della competitività. Con il Betis è un’altra storia, è una storia – penso io – che ha tanti responsabili per il modo in cui la partita è finita. Secondo me, il primo responsabile è l’arbitro e il secondo responsabile sono io, perché non posso essere io a provocare quello che è successo dopo, perché la squadra mi ha seguito nella mia reazione emozionale e abbiamo finito con tre-quattro cartellini rossi. Ripeto: responsabilità mia. Però mi piacerebbe anche che l’arbitro arrivasse a casa e pensasse “ma che ho fatto io di un’amichevole buona, una partita che era stata buona, che ho fatto io per farla finire così?” Però io prendo le mie responsabilità per quanto successo. La squadra è arrivata lì veramente stanca: era l’ultimo giorno, l’ultima partita, tre ore e mezza di pullman dal Portogallo a Siviglia, un caldo assolutamente incredibile, anche se abbiamo giocato di sera. E non posso dimenticare, perché è la verità, la situazione Dzeko: è stata una situazione strana. Si capiva che sarebbe andato a un altro club, però si respiravano un po’ di dubbi: “lui va via, arriva qualcuno, non arriva…” Ho sentito i giocatori molto più preoccupati da questa situazione che concentrati sulla fine del ritiro precampionato. Peraltro in quella partita per me, per 50-55 minuti, siamo stati un’altra volta veramente competitivi con un bravo Shomurodov, che era arrivato due giorni prima e che ha subito fatto capire alla gente che giocatore abbiamo, e dopo è finita male. Però magari è anche buono per noi, perché dopo questo, abbiamo avuto il giorno di riposo e, quando siamo tornati, abbiamo analizzato tutto quello che è successo durante la partita: di positivo, di negativo e in quel momento lì io sono stato come sono io, io ho detto ai giocatori, come ti dico a te, “io sono il responsabile per la mancanza di controllo emozionale che abbiamo avuto lì”. Però il Portogallo è stato un periodo di quindici giorni molto, molto importante per noi.
Ha parlato anche di Dzeko: poco prima di tornare in Italia si è trovato ad affrontare questa situazione. Intanto, in attesa della formalizzazione della trattativa, ieri è arrivato a Roma Tammy Abraham. Quanto sarà importante il suo arrivo per il vostro progetto tecnico?
Prima di tutto, devo dire grande direttore e grandissima proprietà: il boss Dan, Ryan e Tiago sono stati bravissimi. Perché la realtà è che abbiamo iniziato il pre-campionato pensando di avere Dzeko ed è stata un po’ una sorpresa per tutti noi quello che è successo. In un mercato incredibilmente difficile e in una situazione economica, vorrei dire per tutti, però per quasi tutti i club, difficile, avere la disponibilità, avere l’ambizione, avere questo rispetto per l’emozione dei tifosi, avere questo tipo di reazione, dopo aver perso Dzeko, di portare a casa Tammy Abraham, è stato, quello che voi italiani dite sempre, il colpo di mercato, tanto che dal mio punto di vista, anche se lui non fosse arrivato, io avrei avuto sempre la sensazione positiva che la mia proprietà e il mio direttore avessero fatto tutto il possibile per avere una reazione fortissima a un giocatore come Dzeko che è partito. Loro sono stati fantastici. Su Tammy, io preferisco dire “aspettate e vedrete”, lo dico con tutta la mia fiducia. Lo conosco da bambino, non ha giocato mai per me, perché quando io ero al Chelsea lui era veramente un “bambino” di 14-15-16 anni, però lo conosco molto molto bene, lo conosco come giocatore, come persona, come mentalità, so come ha preso la decisione sempre difficile, per un giocatore inglese, di lasciare la Premier. Questo mi dice tanto, tanto, perché quando tu lasci la Premier, tu la lasci perché hai ambizione, tu la lasci perché tu vuoi tornare in Nazionale, perché tu vuoi giocare il Mondiale, perché vuoi vincere fuori dall’Inghilterra dove non tanti giocatori inglesi hanno avuto grandissime carriere. Lui viene con questa ambizione, poi aspettiamo di vedere le sue qualità come giocatore, ma con Tammy, con Eldor e con Borja, abbiamo un gruppo di attaccanti che mi lasciano veramente felice. Non abbiamo quell’esperienza dei giocatori di 30-33-35 anni, non abbiamo questa esperienza come tu vedi alla Juve con Cristiano, al Milan con Giroud e Zlatan, o con Muriel, Zapata, con tutti questi giocatori già con grande stabilità ed esperienza. Non abbiamo questo, però, a livello potenziale, con questi ragazzi io non potrei essere più felice.
Ha avuto intanto già modo di lavorare con Rui Patricio e Shomurodov: che cosa pensa possano dare alla Roma?
Tanto. Guarda, il mercato è diventato un po’ diverso da quel mercato che avevo pensato io inizialmente. Io avevo spiegato ai boss e al direttore il mio modo di analizzare la squadra e di pensare questo primo periodo della “mia”, tra virgolette mia, Roma. Il mercato è diventato diverso, è diventato diverso perché abbiamo perso Spinazzola per tanto tempo e perché abbiamo perso anche Dzeko. Il mercato è diventato diverso perché inizialmente abbiamo pensato solo a un attaccante e non a due e non abbiamo mai pensato a un terzino sinistro. Il mercato si è trasformato in questo modo. E quando si è trasformato, è diventato più difficile perché è andato in una direzione che noi non avevamo programmato, visto che eravamo preparati per andare in un’altra direzione. E penso che il club è stato bravissimo. Sarà la prima e spero l’ultima volta che lo dico: mi mancherà qualcosa che avevo pensato quando ho analizzato la squadra inizialmente, mi mancherà qualcosa, però devo solo ringraziare per il mercato che hanno fatto per noi. Una reazione fantastica prendendo un bravissimo giovane giocatore come Vina. Rui, io dico sempre che Rui è Rui, ha giocato più di cento partite con la mia nazionale, ha giocato 4-5 anni nella Premier, Rui è Rui, Rui è stabilità, Rui è di solito giocare, giocare, giocare con un livello di stabilità tremenda. Vina è un bravissimo giocatore. Eldor, quando lo abbiamo preso, lo abbiamo preso perché avevamo bisogno di un po’ più di mobilità, un po’ di velocità, un po’ più di mobilità nell’attacco. Siamo super contenti con lui. E dopo, alla fine, c’è stata una reazione incredibile, magari qualcuno non se l’aspettava perché la difficoltà in questo mercato è altissima, però se qualcuno aveva bisogno di una reazione per capire quello che la proprietà vuol fare in questi tre anni in cui lavoreremo insieme, come minimo, se qualcuno aveva bisogno di una reazione, qui c’è stata la reazione. Come squadra sappiamo che non siamo la rosa più forte del mondo, non lo siamo e lo sappiamo, però siamo una rosa a cui nessuno può proibire di pensare che la prossima partita possiamo vincerla. Questa è la mentalità e nessuno può fermarci mentre andremo a ogni partita pensando “questa partita la possiamo vincere”. Sicuramente perderemo delle partite, pareggeremo delle partite, però vogliamo andare a ogni partita con questa sensazione: “questa partita la possiamo vincere.”
Ha parlato molto del direttore Tiago Pinto, della proprietà. Prima della partita contro il Betis, si è visto che ha parlato molto con Tiago Pinto. In Portogallo spesso si è intrattenuto con la proprietà, con Dan Friedkin e Ryan Friedkin: magari questa è una cosa che capita molto di frequente ma fa sempre notizia poi vederlo davanti alle telecamere. In generale, come procede il lavoro che state facendo insieme in quella che rappresenta davvero una nuova era per tutto il Club?
Secondo me, la notizia dovrebbe essere quando un allenatore non parla con il direttore, quando l’allenatore non parla con la proprietà. Questa doveva essere la notizia. Mi è capitato qualche volta in club diverso di non avere la possibilità di avere questo tipo di rapporto. Penso che è solo positivo che questo succeda, perché per me è importante capire le loro sensazioni, per loro è importante capire il mio modo di pensare, di analizzare le cose. E questo mi piace tanto. Il direttore è qui ogni giorno, la proprietà se non è qui, al telefono c’è sempre e ovviamente che mi piace veramente questo. Però io vorrei fare questo ragionamento in modo più ampio, nel senso che il rapporto è buono con gli scout, è buono con gli analisti, è buono con il direttore. Stiamo veramente lavorando insieme. Non mi sembra di avere un gruppo dove tutti noi vinciamo e l’allenatore perde. Non mi sembra questo il profilo. Mi sembra che stiamo costruendo un profilo di Trigoria dove vinciamo tutti e perdiamo tutti. Sabato sera ha vissuto la sua prima serata da allenatore della Roma col il pubblico sugli spalti: domenica ci sarà il debutto in campionato contro la Fiorentina.
Che effetto le ha fatto la loro accoglienza sabato e quanto può contare il loro supporto durante la stagione?
Guarda, sabato ero super felice, però domenica ero un po’ triste, perché domenica ho visto i campionati in Francia, Portogallo, Germania, la Premier League, pieno, tutto pieno, festa, il nostro calcio. E dopo ho pensato, ho paragonato l’Olimpico di sabato con questi stadi di domenica e sono stato un po’ a pensare “wow, voglio l’Olimpico pieno di romanisti. Però sabato la sensazione è stata bellissima, perché era da più di un anno che non si giocava con tifosi. Ed è stata la prima volta all’Olimpico come allenatore della Roma, con un’accoglienza veramente fantastica, però lo sento dal primo giorno, lo sento dal giorno del mio annuncio, lo sento dal giorno che sono arrivato qui a Trigoria per la prima volta e ovviamente lo sento per strada quando faccio una passeggiata in città e l’ho sentito per la prima volta all’Olimpico. Però se posso chiedere qualcosa, chiedo “squadra, squadra, squadra!”. Non andare troppo nella direzione dell’individuale. Se i tifosi vogliono andare nella direzione dell’individuale, scelgano di sostenere i giocatori, non me. Meglio dimenticarmi: io sono lì, sono uno di loro, non ho bisogno di questo supporto, di questo appoggio, non ne ho bisogno. Li ringrazio tanto, però se devo chiedere qualcosa, è “squadra, squadra, squadra”, perché qui dentro è così, qui dentro è così, è squadra, squadra, squadra. E loro allo stadio: “squadra, Roma, Roma, Roma, squadra, squadra”, insieme. Non possiamo vincere sempre, avremo sicuramente dei giorni in cui andremo a casa tristi: tristi ma con la consapevolezza che abbiamo lasciato tutto lì (in campo). E sicuramente vinciamo più volte di quando avremo giorni negativi.
Chiudiamo con una battuta: mancano poche ore alla prima partita ufficiale della stagione, in Conference League. Jose Mourinho con che stato d’animo ci arriva?
Tu stai scherzando e vuoi che scherzo anche io. Non posso dormire! (ride, ndr). No, sto scherzando, veramente. Io sono sempre molto tranquillo, per me il dopo partita è sempre più difficile che prima della partita. Dopo la partita è difficile dormire: penso alla partita, penso a quello che è successo, penso a quello che poteva succedere. L’adrenalina della partita è sempre molto difficile. Prima della partita sono assolutamente tranquillo. E più che tranquillo, in questo momento felice, perché non mi piacciono le tue amichevoli, mi piacciono le partite vere e le partite vere iniziano adesso. Sono preparato.