La Gazzetta dello Sport (M. Cecchini) – Budapest, e poi? La differenza che passa fra tappa e capolinea è la stessa che passa tra un bacio passionale e una respirazione bocca a bocca. Almeno così lo intendono i tifosi della Roma quando parlano del futuro di José Mourinho, leader di un popolo che ha ricominciato a sognare.
Per questo l’ipotesi di una separazione a fine stagione inquieta quasi come la finale di Europa League contro il Siviglia. “Il mio unico focus è la finale. – dice Mourinho – Ora non sono preoccupato del mio futuro né di altro. Tutto è secondario quando giochi una finale. Abbiamo fatto tanto per arrivarci. Non c’entra neppure il discorso, vincendo, della qualificazione in Champions: vogliamo solo la finale. Sarà facile prepararla. Tutto il resto si vedrà dopo“.
E a 21 anni dalla sua prima finale col Porto si racconta così: “Sono migliorato, ma ho lo stesso dna. Non voglio tensioni, ma solo il piacere di giocare. L’allenatore migliora col passare del tempo, mentre il giocatore deve fare i conti col fisico che non risponde allo stesso modo a trenta o quaranta anni. Per l’allenatore il cervello diventa sempre più acuto. Certo, quando si perdono motivazioni bisogna fermarsi ma non è il mio caso“. Per questo l’empatia con i tifosi: “A Roma percepiscono che lavoro e lotto per loro. Anche qui, quando arriverà il giorno dell’addio, non sarà facile, ma resteremo legati per sempre“.