La Gazzetta dello Sport (M. Cecchini) – Il calcio è essenzialmente un luogo di nostalgie e di speranze, anche se ha il paradosso di essere governato dalla legge dei numeri. José Mourinho nella Roma, ad esempio, è una sorta di centrifuga permanente di tutto il passato che sprigiona a ogni parola (e che lui stesso tiene a ricordare), destinato ad alimentare aspettative sempre altissime. Così la partenza a handicap in campionato ha suscitato tanto stupore, perché lo Special One in giallorosso non era mai partito tanto male.
I “mourinhani” osservanti danno la colpa al mercato. Di tutti gli arrivi estivi, questo scorcio di stagione ha sancito solo un paio di titolari sicuri, Romelu Lukaku e Leandro Paredes, più un altro come Ndicka che sta conquistando spazio grazie alle emergenze. Tutti gli altri – Kristensen, Renato Sanches, Aouar, Azmoun e il rientrante Llorente – hanno avuto sprazzi di brillantezza, ma mai la continuità sufficiente per insidiare i “vecchi”, se si eccettuano le assenze per problemi medici.
E allora si rotola in fretta verso la seconda voce, quella legata agli infortuni, che hanno condizionato anche la scelte tattiche di un gruppo, forse legato troppo alla difesa a tre e con centrocampisti troppo compassati. Ma se l’assenza di alcuni è stata sorprendente – pensiamo al calvario di Smalling – gli altri stop sono frutto di quelle che lo stesso Mou ha definito scommesse. Ovvero, se nella presumibile formazione titolare puoi schierare costantemente Spinazzola, Pellegrini, Sanches e Dybala, la possibilità di fare la differenza è enorme. Come dire, le scommesse – obbligate per via dei limiti imposti dal fair play finanziario al mercato – si possono vincere, ma si possono anche perdere.