La Gazzetta dello Sport (G. Dotto) – José magari non ci crederà (in cuor suo sa che è così), ma questo pezzo sarebbe uscito comunque, pari pari, senza modificare una virgola. Voglio dire, anche se la storia giovedì sera all’Olimpico fosse andata diversamente, se la leggiadra volée di Dybala si fosse stampata sul palo e se uno a caso del Salisburgo si fosse inventato a tempo scaduto una botta assassina da trenta metri, cancellando la Roma dall’Europa e facendo di Trigoria al risveglio la terra lacrimosa del latte versato, indifferente alla sorte e ai sorteggi di giornata.
Sarebbe stato comunque il racconto di un’impresa. Sotto gli occhi di tutti, negli occhi di tutti, già prima del fischio d’inizio. L’estasi ennesima di uno stadio intero. Diciassettesimo sold out su diciotto partite in stagione (l’unico “bucato” il Roma-Genoa di Coppa Italia per la miseria di poche decine di biglietti), ventiquattresimo nell’ultimo anno, superato il milione di spettatori.
Sì, certo, Mou sarà qua e là discutibile come uomo (chi non lo è?), farà le sue cazzate come allenatore (chi non le fa?), ma come si fa a non riconoscere il merito enorme dello sciamano? Arriva in una piazza depressa e mette su in pochissimo tempo le condizioni per una favola epica, facendosi medium, con tutta la trance del caso, tra un popolo intero e una suggestione che sta tra cielo e terra.
Mou ha creato una magia. Una potente suggestione. L’ha fatto con il magnetismo persuasivo della sua utile paranoia, per cui si trasforma in quello che crede di essere. Una qualche divinità. Quantomeno, uno inviato per conto di Dio. Lui, l’animale da palcoscenico, figlio di buona donna, occhi da serpente e lingua biforcuta, la gente ai suoi piedi. Il popolo dei tifosi, ma anche la banda dei suoi calciatori. Un tutt’uno tra spalti e campo. Li avete visti giovedì sera con il coltello tra i denti.
L’efebico Dybala avventarsi “selvaggio” su ogni palla, la devozione dei Cristante, Mancini e Ibanez. Uno per tutti e tutti per uno, tutti per lui. Storia già vista. I più intelligenti di loro, a cominciare dal monumentale Nemanja Matic, il James Bond prestato al calcio, sanno bene che l’artefice è solo uno, l’uomo di Setubal, e che loro, calciatori e tifosi, non sono che l’emanazione del suo perenne sogno di grandezza.