Il Messaggero (S. Carina) – Una cosa è certa: non sarebbe un inedito. Perché chi ama dipingerlo come un egocentrico che pensa solo a se stesso, dimentica che in carriera, appena ha potuto e soprattutto gli è stato concesso, Mourinho ha sempre instaurato rapporti ottimi con le icone dei club nei quali ha lavorato. A volte ricevendo appoggi esterni, come per Ferguson al Manchester United (“Ha vinto ovunque, è il migliore”) e Di Stefano al Real Madrid (“Spero che resti a lungo”). Altre affiancandosi bandiere societarie.
È accaduto al Real Madrid con Butragueno che spesso e volentieri lo ha difeso pubblicamente, a volte mettendosi contro anche la proprietà. E poi a Milano, con Beppe Baresi, una vita nell’Inter (16 stagioni e 559 gare alle spalle) che volle come vice. Ma non solo. Gabriele Oriali, 13 anni nerazzurro, 17 considerando anche le giovanili, fu la sua ombra nei tre anni meneghini. Fianco a fianco, come quando l’iconico gesto delle manette da parte dello Special costò al dirigente, che prese le sue parti, un’inibizione per 15 giorni e una multa di 10mila euro.
Sì, domani c’è Roma-Empoli ma tiene ancora banco in città la possibilità che José ottenga quanto aveva chiesto nella triste serata di Budapest. Se ora si sente meno solo in campo, con l’arrivo di Lukaku, pronto a esordire dal primo minuto al fianco di Dybala, il vuoto di una figura che sia vicino a lui nelle intemerate contro il mondo arbitrale ed esprima la linea del club nelle situazioni delicate permane. Non può esserlo per carisma Pinto, non può esserlo la dottoressa Souloukou, destinata tra l’altro ad altre mansioni, non lo sono per carattere Dan e Ryan Friedkin.
Per questo motivo José aveva pensato ad un profilo alla Totti. Se poi fosse realmente Francesco, sarebbe perfetto. Si è capito per l’ennesima volta giovedì, all’Italian Padel Award. È bastato che il Capitano, tra una battuta e un ammiccamento, aprisse all’ipotesi di un ritorno (anche senza mai chiarire l’eventuale ruolo e questo eventualmente non sarebbe un aspetto secondario), per bucare lo schermo e fare incetta di titoli sui media e diventare il nome più cercato nei social.
Oggi José, alla vigilia del match contro l’Empoli, presumibilmente dribblerà la questione, indirizzando l’attenzione dei presenti al delicato match contro i toscani. Del resto, senza esprimersi pubblicamente, ha già ottenuto che in qualche modo se ne parlasse. Ora la palla passa alla proprietà americana. Che in questi tre anni ha dimostrato di avere un’idea precisa su come strutturare e organizzare la società e soprattutto non ama essere tirata per la giacca.
Della serie: si ascoltano tutti ma a decidere poi sono loro, i Friedkin. E basta guardare la Roma di oggi per rendersene conto. Quello giallorosso è diventato ormai un club diverso da quello che era con Pallotta, con i Sensi o la famiglia Viola. Sono cambiati i tempi, certamente, ma la rivoluzione texana, per certi versi silente, è stata quella più radicale. Un esempio? Sono pressoché scomparsi i profili italiani: presidente, vice presidente e direttore commerciale sono statunitensi, gm e allenatore portoghesi, il Ceo greco.
Rimangono il segretario generale, Lombardo (in scadenza a giugno), e la dottoressa Rabuano. Ma soprattutto si è scelta una linea chiara, ossia di circondarsi di persone poco inclini ad alzare la voce. Per quello, nell’ottica dei Friedkin, c’è Mourinho. Nel pacchetto Special è incluso tutto: campo e fuori. Senza contare poi, che affiancargli uno del peso di Totti, vorrebbe dire schiarire in largo anticipo anche il futuro dello Special, in scadenza nel 2024. E mai come in questa stagione – le parole di Pinto sulla Champions lo dimostrano – le confermano passano per il campo. José incluso.