José Mourinho è intervenuto a The Obi One, il podcast di Obi Mikel. Ecco quanto ha dichiarato lo Special One:
“Ora sono alla Roma, è un profilo diverso rispetto al Chelsea dove sono stato, con ambizione diverse, ma mi piace tantissimo. Amo stare qui a Roma. Ma sono alla fine del mio contratto. In questa situazione è una scelta che spetta al club. Ti siedi e ne parli, oppure no. Io intanto mi concentro sul presente, sul dare tutto. È un bellissimo club con belle persone. I giocatori non sono i più forti del mondo, ma sono buoni giocatori e bravi ragazzi. I tifosi sono incredibili, la città è meravigliosa. Abbiamo le nostre ambizioni, ci sono squadre con più potenziale. Ma combattiamo. Ci piace stare insieme e quando ti piace stare insieme e non solo lavorare insieme vuol dire che sei nel posto giusto”.
“Qualche giorno fa ho parlato con un giocatore, che mi ha chiesto cosa potesse fare per giocare di più, gli ho risposto ‘niente, stai facendo tutto bene. In allenamento vai benissimo, in panchina ti vedo che sei con la squadra, quando entri fai il tuo dovere. Ma se vogliamo essere una squadra migliore dobbiamo avere ottime risorse anche in panchina“.
Il tuo rapporto con Obi Mikel?
“Obi Mikel è uno dei miei ragazzi, ora sono alla Roma e ho i miei ragazzi anche qui. Alcuni di 18 anni, altri di 40. Quando uno di voi mi chiede qualcosa, lo faccio“.
Secondo te era un vero numero 10?
“Magari nella sua Nazionale poteva fare ciò che voleva, nel Chelsea meno…“.
Obi Mikel come giocatore?
“Mi piaceva tutto di lui, se esamini i centrocampisti posizionali, come li chiamo, che ho avuto in carriera ci sono molte similitudini. Tolto Makelele che era basso, erano tutti alti e forti fisicamente con una buona occupazione dello spazio e con quella che chiamo semplicità del calcio che è fondamentale in quella posizione. Le persone a volte confondono il giocatore creativo con uno che gioca semplice. In alcune zone del campo la creatività va bene, in altre aree la semplicità è il genio. La squadra ha bisogno di equilibrio e deve darlo quando la squadra ha e non ha il pallone. Devono essere umili, nel senso di pensare che la squadra sia più importante di loro, quello che do alla squadra è più importante di quello che la squadra dà a me e forse per questa stasera Obi vuole fare il numero 10, per essere il top guy…(ride, ndr), ma con me al Chelsea era un fantastico centrocampista posizionale molto veloce nel pensare, un tocco o due tocchi, rendeva tutto semplice“.
Cosa aveva di così speciale quel Chelsea?
“Tante cose insieme. Innanzitutto, avevamo molti soldi. Quando si parla di grandi squadre, si parla sempre di soldi. Ora c’è il Manchester City, il Liverpool, il Chelsea c’è ancora, ma è peggiorato. Nelle grandi squadre ci sono grandi allenatori e grandi giocatori. Noi potevamo scegliere calciatori anche con carattere e che avevano feeling con l’allenatore. Abbiamo sempre ricercato profili con una mentalità vincente, che volevano sempre migliorare. Ci siamo anche divertiti parecchio“.
Non eri mai contento quando si perdeva, vero?
“Il vero allenamento erano le partite. Il vero problema è che ora i calciatori guardano l’allenamento solamente come una normale seduta, mentre noi l’abbiamo sempre vista come un momento per competere e per aumentare la competizione e le skills. Molte volte ho fatto il countdown delle nostre partitelle: un minuto alla fine.. due minuti alla fine.. che poi facevo diventare sempre 10 minuti. Era pesante per molti calciatori, persino per chi doveva fare da arbitro“.