La Gazzetta dello Sport (M.Cecchini) – Il 21 maggio, in una Siviglia calda come Tirana, acconciata a festa, si cominciava a scrivere una epopea calcistica che ci avrebbe fatto compagnia per più lustri. Il Porto di José Mourinho vinceva la Coppa Uefa battendo il Celtic Glasgow e l’allenatore portoghese saliva alla ribalta dell’universo del pallone conquistando il primo titolo europeo della sua carriera.
Quanto basta per costruire la mitologia dello Special One, che stasera in Albania prova a vivere un quinto atto in una Coppa tutta nuova, la Conference League, che gli potrebbe essere ascritta già alla prima edizione. Una medaglia in più da mettere sul petto, stavolta per merito della Roma, che manca da una finale europea dal 1991. Le Champions vinte con Porto e Inter, l’Europa League conquistata col Manchester United, non contano più nulla. Oggi è l’atto conclusivo di un’avventura cominciata il 19 agosto per la Roma.
I giallorossi stanno per scendere in campo per la partita numero 55 della stagione, l’ultima. “E’ un momento ricco di significati. Abbiamo giocato due finali in quattro giorni, vincendo la prima e qualificandoci alla prossima Europa League. Ma a Torino non si poteva scrivere la storia. Questa finale, invece, è una cosa diversa. E’ già storia, perché arriva dopo tanti anni di assenza. Dobbiamo fare il possibile per vincere. Non credo alle pozioni magiche ma al lavoro quotidiano e al lavoro dello staff e della squadra. Comunque andrà per me è una stagione positiva. In ogni caso una finale è una cosa che serve a crescere” ha detto il portoghese. “Il mio carisma non può fare la differenza. All’ultima partita della stagione il lavoro è già fatto. La leade8rship non si può mettere sul tavolo, l’ultimo atto fa parte di un processo. Noi allenatori siamo fuori, cerchiamo di aiutare. L’esperienza non aiuta, pensavo lo facesse, ma ciò che provo è uguale a quando preparavo la prima finale“.