La Gazzetta dello Sport (A.Vocalelli) – Non è la Champions, ma ha un valore speciale. Questa finale di Conference è un’occasione, ma anche un ritrovo simbolico di storie personali, sospiri collettivi, senso di appartenenza. Questa finale di Conference è un ponte tra diverse generazioni: tra quella che ha vissuto le stagioni felici di Viola e Sensi, quella che ha assaporato il gusto amaro del digiuno, quella che guarda al futuro con una carica nuova. I tifosi sono tutti lì, uniti da passione e speranza di essere solo al primo passo di un lungo viaggio, che non si ferma certo a Tirana.
Uno stadio a Tirana, troppo piccolo per contenere l’amore di un popolo. Un altro, a Roma, abbastanza grande per pacificare la voglia di esserci. Mourinho ha trasformato la stagione della Roma in un progetto da vivere insieme. E lo ha fatto a suo modo, sorridendo e frustando la squadra. In questo clima di grande fiducia tra il condottiero ed il suo popolo la Roma è arrivata a giocarsi la gara più importante degli ultimi anni.
Dall’altra parte Slot è alla prima finale europea. Ha costruito una squadra che ha preso alla lettera uno dei tanti slogan: la miglior difesa è l’attacco. Ecco perché gli olandesi giocano alti: per provare a rubare l’idea insieme al pallone. Vincere sarebbe il trampolino migliore per il futuro. I Friedkin, comunque vada, hanno intenzione di far crescere sogni e ambizioni. Vincere aumenta la voglia di vincere.