Pagine Romaniste (F. Belli) – “Bene. Ci siamo riusciti – disse sospirando -. Sì, sull’orlo del baratro ha capito la cosa più importante. Ah si? E cosa ha capito? Che vola solo chi osa farlo”. Vola solo chi osa farlo. Una perla di saggezza che non dovremmo mai dimenticare. È la “Storia di una gabbianella e il gatto che le insegnò a volare” di Sepulveda, passato a miglior vita poco fa a causa del Coronavirus. Vincenzo Montella ha osato fin da quando calciava i primi palloni in un paesino in provincia di Napoli. Scovato dall’Empoli giovanissimo, si trasferisce al Genoa prima di cambiare sponda della città e passare alla Sampdoria. Ma proprio coi rossoblu è decollato la prima volta, in Serie B, dopo una mezza rovesciata col Cesena. L’esultanza, quella dell’aeroplanino, non la abbandonerà mai più in carriera. In un freddo aprile del 1999 la Roma allenata da Zeman lotta per qualificarsi in Champions osservando con occhio molto preoccupato la Lazio prima in classifica a sei lunghezze dal Milan. L’entusiasmo degli anni migliori è ormai molto lontano e la piazza ha dimenticato cosa significa lottare per la vetta. Serve entusiasmo e Franco Sensi lo sa. Per questo durante una festa dedicatagli annuncia ai tifosi: “Voglio vincere, è l’unica cosa che mi interessa. Perché sono come voi, e per farlo ho già preso un giocatore a Genova. Non fatemi dire di più”.
La panchina con Capello e il poker al derby
Non doveva aggiungere altro perché tutti intorno a lui hanno capito. Seguiranno tanti gol ma anche tante incomprensioni. Capello non lo vede titolare e gli preferisce il trio Batistuta-Totti-Delvecchio. La cosa lo infastidisce anche perché segna come fosse titolare. Entra pochi minuti e gonfia la rete, è una costante. Anche gol decisivi, come quel pallonetto al Milan che virtualmente significa titolo a pochissime giornate dal termine. O meglio ancora quello del pareggio al Delle Alpi all’ultimo minuto con la Vecchia Signora, poche giornate prima. Senza quel ragazzo nato a Pomigliano d’Arco quello scudetto probabilmente non ci sarebbe stato, ma questa è solo una supposizione. La partita della vita, che proietta l’aeroplanino nell’olimpo giallorosso, è il derby di ritorno dell’anno successivo. Un gol di testa, dal “basso” dei suoi 172 centimetri. Uno col piede sinistro, anticipando con furbizia un fenomeno come Nesta. Un altro di testa, ancora. Uno di sinistro da fuori area sotto al sette. Non c’è bluff: Montella ha calato un poker personale al derby, unico nella storia della stracittadina. Del resto chi vola in alto è sempre solo. Solo, come quando 9 anni dopo è stato chiamato al timone di una squadra al collasso dopo le dimissioni di Ranieri, da allenatore. Indimenticabile anche quello sguardo concentrato, surreale, fisso dopo la punizione di Totti al derby del 13 marzo. Tutti esultavano ma lui no, il pilota solo al comando.