Il Messaggero – La grande bruttezza

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Rudi Garcia avrebbe voluto trascorrere il suo cinquantunesimo compleanno (auguri) con tutt’altro umore. Si è dovuto cimentare, invece, nei soliti discorsi alla squadra, nel canonico day after delle (ultime) partite, il tutto all’insegna della malinconia (ricordando una Roma che c’era e che adesso non c’è) e della speranza (di un futuro migliore e magari vincente). La Roma era sublime e ora è incenerita, sbiadita, prevedibile, stanca e noiosa; aveva personalità e ora appare fragile e fantozziana davanti a chiunque; c’era un gruppo compatto, adesso sono rimasti i fili sparsi; l’allenatore era lucido nelle mosse tattiche e nelle dichiarazioni, da un po’ appare confuso e contraddittorio. La società? Ha azzardato in passato e si è ripresa, quest’anno qualche scelta può essere rivista, l’instant team non sta funzionando e Sabatini, dopo appena venti giorni dalla fine del mercato, sconfessa se stesso e le sue scelte appena fatte (volute da chi?). C’era una grande bellezza, ora c’è il brutto.

 

REPARTI SFILACCIATI –  A guardarla non sembra più una squadra. Ognuno va per conto suo, così sarebbe stato più o meno riferito da chi sta dentro e in campo ci va ogni settimana. Certi calciatori sembrano irriconoscibili, vecchi e nuovi. Manolas è un esempio. Il giovane greco si è presentato scattante, attento. Chi lo ha paragonato a Pietro Vierchowod, chi in lui ha rivisto le stigmate di Marquinhos. Tutto vero, l’impatto visivo, emozionale, era quello, lo osservi ora davanti ti trovi un calciatore completamente perso: spaesato, falloso, disordinato, pauroso.

Non è lui è il problema, ma forse lo rappresenta. Queste caratteristiche negative le ritrovi a occhi chiusi su tutti i suoi compagni di reparto, da Florenzi (quando fa il terzino) a Holebas, da Cole a Yanga Mbiwa, passando per Astori (sparito da un paio di partite), De Sanctis, per non parlare degli assenti-degenti come Maicon e Castan, i quali con Benatia e Balzaretti (più il De Sanctis della passata stagione) hanno portato la Roma a vincere dieci partite consecutive e ad essere protagonista di un’annata che ha fatto innamorare un po’ tutti. Ovvio che certe valutazioni si sono rivelate sbagliate: non si è intervenuti sui terzini, non prevedendo che Maicon poteva cadere in un’annata così balbuziente, che Cole non è più un giocatore all’altezza del suo nome. Risultato: Garcia si ritrova con un’altro tipo di squadra, senza leader e con calciatori assenti, alla quale non è riuscito a insegnare un gioco degno.

 

CAOS E SPERANZA –  E qui entra in ballo il tecnico, uno dei colpevoli, non il solo colpevole, sia chiaro. Rudi ci ha messo del suo. 1) Non opponendosi fino in fondo alla cessione di un leader e di non aver insistito troppo (o in maniera vincente) sull’arrivo di uno che potesse surrogare Benatia, ovvero Basa (certo, non poteva essere lui la soluzione dei mali, ma è solo un esempio). Ha accettato, pensando di ritrasformare in oro il materiale che aveva. Non ci è riuscito, evidentemente, e ora si ritrova i giovani emarginati e i vecchi un po’ spenti. 2) E’ andato in tilt nell’ultimo periodo non azzeccando scelte facili, cambiando spesso uomini e moduli, senza trovare mai una continuità: una su tutte, Doumbia in campo con il Parma dopo un solo allenamento sulle gambe. Per non parlare poi delle dichiarazioni: manca l’esplosività ma è un problema mentale. Ma come? E i giocatori a turno ci sono andati pesanti, da Florenzi («sono in confusione e non facciamo paura a nessuno») a Pjanic («manca la fiducia») finendo con Nainggolan («non ci riesce più niente»). E ancora: Garcia sostiene che per sbloccarsi serva una vittoria. La vittoria, però, è arrivata (a Cagliari) ma la squadra resta in confusione e i senatori, chiamati in causa dal tecnico, non l’hanno presa bene. Quindi? Forse serve una vittoria giocando bene, demolendo gli avversari come in passato. Questo forse manca. Ma per questo ci vuole “la gamba”. In realtà la squadra non corre, non ce la fa. Nessuno, forse un po’ Verde, ha quella spinta. Si va a vanti a strappi, certe volte dettati dal battito cardiaco. Sembra ci sia uno scollamento tra il gruppo e l’allenatore (e la società) e questo è un problema serio. Di difficile soluzione nel breve. Se qualcuno non crede più nel tecnico, o va via quel qualcuno o il tecnico. Se non ci crede più la dirigenza, andrà via l’allenatore, questo è ovvio. Vedremo.

Il Messaggero – A. Angeloni

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