Il Messaggero (M.Ferretti) – Invidioso, forse, per tutti gli applausi e i titoloni che dopo il Frosinone si era beccato il Faraone di Savona, cioè Ersciaravi de noantri, Mohamed Salah, 100% made in Egypt, ha impiegato meno di una dozzina di minuti per ricordare al mondo, non solo quello romanista, di essere ancora un attaccante con il sinistro chirurgico e non una mummia. Alla prima palla buona, la stilettata al cuore del Sassuolo: controllo in corsa, mezzo sguardo alla porta di Consigli, tiro a girare sul secondo palo e, oplà, Roma in vantaggio. Un’esecuzione che ha ricordato, e manco poco, quella di Firenze contro la sua ex Fiorentina, il suo ultimo centro datato ottobre. Tutto facile, ma solo all’apparenza, firmare il settimo gol stagionale. Al di là delle rete, molto molto bella, una prestazione, almeno nella prima frazione, di notevole spessore, fatta di tante cosette al servizio della squadra, non solo di giocate individuali o anarchiche. Nel modulo di gioco inventato per l’occasione da Spalletti, il 4-3-1-2, Momo ha giostrato da punta, non più da esterno oppure da trequartista come accaduto nelle precedenti esibizioni della Roma di Lucio: e così, con meno compiti in fase di non possesso, ha potuto dedicarsi maggiormente alla cosa che più gli piace, cioè far male all’avversario. Cercando, talvolta, di favorire (invano…) la giocata del compagno.
ERRORE E FORTUNA – In avvio di ripresa, però, ha peccato ancora una volta di egoismo quando ha ignorato Nainggolan, solo soletto davanti alla porta vuota, preferendo calciare debolmente tra le braccia del portiere nemico. Fallendo così l’opportunità di portare la Roma avanti di due reti. Un vizietto che Spalletti gli deve far perdere in fretta. Anche perché non capita tutte le partite, magari capitasse…, che un avversario sbagli un calcio di rigore decisivo ad un soffio dalla fine.