Missione Europa. La Champions sposta 35 milioni

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Il Corriere Dello Sport (R.Maida) – I soldi non sono il problema, e nemmeno il pensiero, dei 500 tifosi che seguiranno la Roma a Oporto. Loro partono per passione e semmai i soldi li spendono, nonostante una trasferta decisamente scomoda: non esiste un volo diretto, per raggiungere la destinazione (con voli high cost) occorrono almeno 6 o 7 ore. La motivazione della gente è il prestigio di confrontarsi in campo internazionale sventolando la propria bandiera, oltre al divertimento di una gita in Portogallo.

CROCEVIA – I soldi sono invece un cruccio per la Roma, intesa come azienda, che deve raggiungere l’equilibrio finanziario in tempi di restrizioni Uefa e deve assolutamente centrare la qualificazione alla Champions League. Due obiettivi in apparenza contraddittori, un circolo vizioso che solo in caso di risultato positivo nel playoff può attivare un percorso virtuoso, grazie ai favolosi introiti garantiti alle 32 iscritte al tabellone principale.

CALO – A questo punto possiamo analizzare i ricavi potenziali, senza essere precisi nelle proiezioni perché la suddivisione del cosiddetto market pool (la fetta di torta che spetta a ciascuna nazione) dipende dai risultati che otterranno Juventus e Napoli: più strada fanno le altre, meno guadagna la Roma. Che non può comunque eguagliare l’exploit della scorsa stagione a parità di obiettivi raggiunti (ottavi di finale): l’anno scorso le squadre italiane in ballo dividevano il malloppo per due mentre stavolta, nell’auspicio che la Roma partecipi alla Champions, correranno tre club. Quindi è difficile, se non impossibile, mirare ai 77,1 milioni dell’edizione 2015/16, che ha consentito al club di superare per la prima volta nella sua storia quota 200 di fatturato stagionale.

PREVISIONI – E’ ragionevole pensare a una cifra di poco superiore ai 40 milioni, invece. Che sarebbero frutto di una parte dei 100 che spettano alle squadre italiane (a bocce ferme solo il 15 per cento visto che la Roma ha diritto alla parte più piccola a causa del terzo posto in campionato). E che deriverebbero dai premi che garantisce l’Uefa per ogni vittoria (1,5 milioni) e per ogni pareggio (0,5 milioni), per la partecipazione ai gironi (12 milioni) e per l’eventuale avanzamento alla fase ad eliminazione diretta (vale 2 milioni il solo approdo agli ottavi). In più bisogna calcolare gli incassi da botteghino e i bonus degli sponsor. Il totale ragionevole fa appunto 40-45.

PARACADUTE – In caso di retrocessione in Euroleague invece tutti i ricavi potenziali sarebbero ridimensionati. Di circa 35 milioni. Aiuta poco la ciambella di salvataggio che l’Uefa dallo scorso anno garantisce ai club che giocano il playoff: nel caso delle italiane, si tratta di circa 5 milioni. Meglio di niente, ovvio, ma è proprio un premio di consolazione. A cui si dovrebbero sommare gli introiti modesti della seconda coppa: 2,4 milioni per la fase a gironi, 360.000 euro per ogni vittoria, appena 120.000 euro per ogni pareggio. Chi vince il trofeo non porta a casa più di 20 milioni, market pool incluso. Figurarsi le squadre italiane, che non hanno mai alzato la coppa da quando ha smesso di chiamarsi Uefa. Raggiungendo i sedicesimi, con un incentivo massimo di un milione in caso di primo posto nel girone, si può sperare di incassare 5-6 milioni, escluso il paracadute iniziale, anche perché il numero di club italiani iscritti può essere alto. Alle già sicure Inter e Fiorentina si possono aggregare il Sassuolo, che deve superare il playoff estivo, e teoricamente anche Juventus e/o Napoli, se chiudessero al terzo posto il loro girone di Champions.

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