Ministro Franceschini: «Questione stadio decide il governo»

Corriere dello Sport (M.Evangelisti) – Non è ancora finita, anzi. Per il momento il ping pong sullo stadio va avanti, ciascuno rimanda la pallina nel campo opposto anche se la rete adesso è decisamente più alta per via del parere della soprintendenza, che ha dichiarato intoccabile la tribuna del vecchio ippodromo di Tor di Valle come opera di architettura moderna e pure la pista come non si sa bene che cosa, forse per la disposizione particolarmente artistica di granelli di sabbia e ciottoli di riporto. Vedi alle volte che cosa salta fuori dalla pioggia, dal vento e dalle impronte dei cavalli, che peraltro lì non corrono da quattro anni.

SPERANZA – Il progetto del nuovo stadio della Roma non è morto, tutt’altro. Vero che lo stanno tenendo in vita artificialmente per darsi fastidio gli uni con gli altri, il governo al Comune retto dal Movimento 5 Stelle, il Comune alla regione Lazio a maggioranza Pd e viceversa. Ma proprio dall’accanimento terapeutico può uscire una rianimazione improvvisa. Naturalmente lo spera la Roma, lo spera il costruttore Luca Parnasi e lo sperano i tifosi, ma non solo. Che il progetto sia importante per la città ormai è dato per scontato persino tra i 5 Stelle, quantomeno a livello nazionale. Infatti ieri Beppe Grillo è uscito dalla maxiriunione con la giunta romana a cui ha partecipato anche Davide Casaleggio, figlio del cofondatore del Movimento, pronunciando parole che sembrano qualcosa di più di un mezzo sì: «Ci sono problemi di vario tipo in quel posto, bisogna pensare al diritto, alla salute, all’ambiente. Però risolveremo. Sarà la soluzione migliore per i cittadini». Grillo a inizio giornata aveva anche accennato a un voto online, senza però tornarci in seguito. L’unica raccomandazione al sindaco Virginia Raggi: non lasciarsi influenzare dalle pressioni esterne. Facilissimo a dirsi. Non hanno parlato solo di stadio, naturalmente, ma se n’è discusso a lungo perché ancora, questo lo ribadisce Grillo, «una decisione definitiva non è stata presa». Ma dovranno prenderla. Neppure il colpo di coda della soprintendenza li ha messi al riparo dal peso del dire sì o no. Intanto domani s’incontrano con il commando dei proponenti, Roma e costruttore, che non hanno alcuna intenzione di mollare l’osso e al contrario si preparano all’eventuale battaglia legale anche con un ricorso al Tar contro il vincolo che impedisce di fatto la costruzione di qualsiasi cosa. L’idea è saldare il famoso accordo sul progetto sostenibile, con taglio alle cubature e quant’altro, per poi presentarsi in conferenza dei servizi il 3 marzo, giorno in teoria dell’improrogabile chiusura, e vedere l’effetto che fa.

PARLARE CHIARO – Poi il governo, che nonostante la crisi interna del Pd non dorme nello sgabuzzino, ha provveduto a effettuare il suo colpo a ping pong. Mandando avanti, naturalmente, il ministro dei beni culturali Dario Franceschini, al quale peraltro erano giunte domande di chiarimenti anche dalla Roma. E Franceschini se l’è cavata senza esporsi eccessivamente ma parlando chiaro: «Su vincoli e pareri le soprintendenze sono autonome e indipendenti. Il ministro non può condizionarne le scelte. Se intervenissi per cercare di influenzare procedimenti in corso violerei la legge, commetterei un atto illecito. Esistono percorsi amministrativi e giurisdizionali che consentono a tutti gli interessati, privati o istituzionali, di tutelarsi». E già questo accenno alle tutele appare come una presa di distanza dalla decisione della soprintendente Margherita Eichberg. In più: «Come previsto da uno dei decreti della riforma che porta il nome della ministra Madia (la cosiddetta legge sugli stadi, ndr), a conclusione dell’iter in conferenza dei servizi la decisione finale, per la parte di competenza statale, potrà essere portata alla decisione del consiglio dei ministri». Così il governo si propone come strada maestra per uscire dallo stallo. Ecco perché la Raggi adesso deve tornare a sfogliare il dossier. Ecco perché tra decisioni ed eventuali delibere il tempo, di qui al 3 marzo, è maledettamente scarso. Ma c’è.

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