Corriere della Sera (M. Ferretti) – Complicato affermare ora, cioè dopo quei venti minuti finali della partita contro il Torino, che non avessero ragione coloro che si sono strappati i capelli nel momento in cui Paulo Dybala si è infortunato.. L’argentino è entrato con la Roma sotto di un gol e ha lasciato il segno da par suo, dimostrando/confermando di essere di una (una?) categoria superiore ai suoi compagni. Un paio di giocate d’autore, il rigore rimediato e poi la traversa che ha dato il “la” al pareggio di Matic.
Tanta roba, se ci pensate, per uno che stava a fatica in piedi, che camminava invece di correre e che non ha mai cercato lo sprint, limitandosi a giocherellare con il pallone tra i piedi. Quei venti minuti hanno dimostrato che alla Roma uno così è mancato in maniera pesante, e che con uno così fatalmente è tutta un’altra musica.
Una squadra triste, povera tecnicamente e anche tatticamente; poi, Dybala, recuperato per una sorta di miracolo mondiale, ha cambiato la storia e ha acceso una flebile fiammella per il prosieguo della stagione. L’impatto dell’argentino sulla partita, però, ci deve indurre a una riflessione più profonda sulla Roma. Possibile che un giocatore al venti per cento della condizione possa essere così determinante per le sorti della squadra?
Certo, Dybala è il più bravo, ma è davvero così impossibile fare a meno di lui senza snocciolare prestazioni da incubo? Che squadra è una squadra che non può prescindere da un suo giocatore pur a mezzo (e anche meno…) servizio? Il problema di gioco della Roma è evidente, chiaro, acclarato. Il compito di Mourinho, aiutato dalla sosta, sarà recuperare (trovare?) una qualità di gioco che possa prescindere dai singoli, anche da quelli più talentuosi.
Finora il portoghese, come testimoniato dai fischi raccolti dalla squadra all’Olimpico, non c’è riuscito. I numeri della classifica (-14 dalla vetta dopo appena 15 gare) lo stanno a confermare. E chiamano in causa tutti, nessuno escluso.